Dott. Roberto Barbiani
Ricerca libera
18-10-2024

#7


64) La bellezza ha indiscutibilmente un′importanza prevalente, rispetto alla verità e al bene, per quanto riguarda le scelte e gli atteggiamenti umani! Forse dipende dal fatto che ha a che fare con i sensi, quindi con il corpo, mentre la verità è in relazione al pensiero e il bene alle convinzioni morali, cioè ′oggetti parziali′ rapportati al corpo. La bellezza riveste un potere universale, ha un valore di immediatezza, è un fattore fondamentale nelle relazioni, - caratteristiche che la ricerca della verità o il perseguimento del bene non possiedono. La celeberrima frase di Goethe "la bellezza è negli occhi di chi guarda" sembra optare decisamente per la considerazione soggettiva del giudizio estetico, escludendo la possibilità di una valutazione oggettiva, universalmente condivisa, della bellezza. D′altra parte è anche vero che la valutazione soggettiva è condizionata dalle determinanti sociali, culturali, psicologiche, storiche, economiche, di tendenza, ecc. e che, tanto per fare un esempio, la giovane ritratta da Botticelli nella ′Nascita di Venere′, o quella raffigurata da Manet in ′Colazione sull′erba′ oggi non rappresenterebbero un′icona di bellezza, ma un modello di sovrappeso, compatibili eventualmente con un quadro di Botero. L′impossibilità di una valutazione unanimemente condivisa non riguarda però solo la dimensione estetica, investe tutti i campi: quello morale, religioso, filosofico, politico, giuridico, epistemologico. Siamo nell′ambito del relativismo, del ′prospettivismo′ nietzschiano, che affida alla pluralità degli schemi concettuali (le prospettive) la possibilità di formulare giudizi di verità o di valore. Il che non significa, per il pensatore tedesco, che tutte le prospettive siano ugualmente valide; alcune hanno svolto un ruolo storicamente molto importante nell′accrescere la ′volontà di potenza′ della nostra specie, finché non hanno esaurito la loro efficacia.

65) Riguardo alla possibilità di realizzare un cambiamento di qualunque tipo e a qualsiasi livello della propria esistenza, il problema più importante consiste nell′interrompere abitudini inveterate e nel mettere in atto nuovi schemi comportamentali, nuove abitudini, nuove strategie di abituazione e di disabituazione. L′abituazione, secondo l′enciclopedia Treccani, è quel fenomeno, diffuso nel mondo animale, vegetale e umano, studiato in etologia e psicologia, attraverso il quale "si intende la graduale diminuzione dell′attenzione e della risposta di un organismo a uno stimolo, a seguito del ripetersi dello stimolo stesso". Il che significa che il nostro cervello smette di rispondere alle cose che non cambiano, nel senso che risponde sempre meno agli stimoli che si ripetono, come se non fosse più interessato ad essi. L′attenzione, infatti, è governata dall′interesse e dalla novità, per cui, quando uno stimolo diventa familiare, l′attenzione diminuisce e la mente diventa più vulnerabile alla distrazione. Perché uno stimolo continui a ripetersi in modo da innescare il fenomeno dell′abituazione e quindi la graduale diminuzione dell′attenzione, deve rientrare in uno schema disciplinare intenzionalmente ricercato, per il beneficio che comporta il suo perseguimento. Allo stesso modo, abitudini negative (i cui effetti comportano conseguenze negative) devono essere interrotte e successivamente evitate con la medesima determinazione, in modo da innescare il processo della disabituazione, cioè il recupero della risposta abitudinaria, nei confronti di nuovi stimoli o di nuovi schemi comportamentali. Questo significa che è necessaria una consapevolezza accurata e precisa riguardo alle abitudini che comportano sia effetti positivi che negativi, contestualmente alla volontà di perseguire le abitudini e gli schemi comportamentali positivi e di interrompere o modificare quelli dannosi. Come? Mettendo in atto strategie di disabituazione nei confronti delle prime (affinché non vengano a noia e possano essere vissute sempre con interesse) e di abituazione nei confronti delle seconde, per favorirne l′eliminazione o la trasformazione.

66) Disabituarsi a un′abitudine, riuscire a vedere il nuovo nell′ordinario, rinunciare a una consuetudine piacevole e radicata, per intraprenderne una nuova mai sperimentata, che proprio per questo non riveste ancora i caratteri dell′attrazione e della routine ai quali ci eravamo assuefatti, - tutto questo richiede volontà e determinazione, autocontrollo e disciplina, cioè una mente consapevole e risoluta. Conseguentemente, ciò che definisce la caratteristica più significativa dell′essere umano in quanto tale non è la libertà, intesa come la possibilità di fare quello che si vuole, quanto invece la capacità di darsi una disciplina, di sottostare a delle regole che ci si è autonomamente e volontariamente assegnati, con lo scopo di perseguirle con assiduità e determinazione. Il vivere sociale comporta necessariamente un insieme di regole che governano la convivenza civile, sono regole di carattere storico e contingente, variabili attraverso le diverse epoche e i differenti contesti, concepite appositamente per realizzare la volontà e gli interessi del potere dominante in un determinato periodo storico e in uno specifico ambiente sociale. L′assoggettamento a questo tipo di regole riveste un carattere eterodiretto; l′ubbidienza a regole autoindotte fa riferimento invece alla volontà e alla libertà personale. In entrambi i casi l′esistenza è destinata a essere inquadrata in un percorso rigidamente regolato, persino nelle sue manifestazioni più personali e più intime. Lo spazio per una spontaneità o un′impulsività non regolata, appartenente alle dimensioni fuori controllo del vivere sociale, è concentrato in riserve (case di cura, manicomi) destinate specificamente alle espressioni selvagge, non omologate, custodite da schiere di professionisti del controllo e dell′omologazione.

67) In questa prospettiva, la libertà equivale alla capacità/possibilità di darsi delle regole, di "servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro", secondo la definizione kantiana dell′illuminismo, cioè di "uscire dallo stato di minorità" dovuto alla mancanza di decisione e di coraggio di servirsi del proprio intelletto, per elaborare autonomamente regole di comportamento e sottostare volontariamente ad esse. É indubbiamente una prospettiva morale autarchica, di ispirazione cinica e stoica, finalizzata alla cura e alla disciplina dell′anima e del corpo; impostata sull′autocontrollo, sull′educazione degli istinti e delle pulsioni e sull′accettazione di regole autoimposte, orientate al potenziamento di sé stessi, nel rispetto dell′alterità degli altri. Che cosa succede quando le regole sociali entrano in conflitto con le regole personali? Il caso di Socrate è emblematico da questo punto di vista! Non è però necessario arrivare alla sua decisione radicale e per lui fatale; viene in aiuto il ′làthe biòsas′ epicureo (punto 57), il ′vivi nascosto′, che testimonia però la distanza insormontabile tra la soggettività individuale e l′apparato normativo del sistema sociale.

68) C′è troppo di tutto, nell′Occidente ipersviluppato e ipertecnologico: troppi oggetti, troppe persone, troppe tentazioni, troppe possibilità, troppe occasioni, troppa ansia, troppa libertà, troppa paura; il ′troppismo′ confonde, annebbia, paralizza, intontisce, disorienta. Nessuna nostalgia per quando non c′era niente o c′era poco, però....anche questa situazione rischia di produrre effetti deleteri, più o meno come la precedente. Fino a 40/50 anni fa uscivano libri, film, canzoni in una certa quantità, alcuni dei quali di eccelsa qualità; oggi la quantità è vertiginosamente aumentata, mentre la qualità si è drasticamente ridotta. Tanto per fare un esempio: la visita in una libreria alla ricerca di qualche novità in ambito saggistico o letterario, espone a una moltitudine di proposte e di nuove uscite tale da lasciare sconcertati, nell′impossibilità concreta di fare una scelta, talmente vasta è l′offerta. D′altra parte è vero che il cervello ama il nuovo, è affamato di novità, pena la noia; è un dato di fatto che il fantasma dell′abituazione è sempre in agguato. Però la valanga di novità che il mercato sforna ininterrottamente produce un effetto di saturazione che confonde e disorienta, invece di appassionare e coinvolgere.

69) Molte forme di disagio psicologico e di ansia derivano da pensieri fissi che, in forma di ruminazione ossessiva, pervadono la mente, concentrando l′attenzione su sé stessi e sequestrando ogni altra forma di pensiero. Il problema, evidenziato dal rimuginio ossessivo, ha a che vedere col fatto che il soggetto è portato a credere ai propri pensieri intrusivi, al punto che la sua mente può sviluppare un disturbo ossessivo-compulsivo, anche perché più si sforza di allontanare questi pensieri e maggiormente ne risulta invasa. Diverse soluzioni al problema sono state proposte, tra le quali il guardarsi dall′esterno o anche il guardarsi in prospettiva. Hanno entrambe a che vedere con il decentrare l′attenzione da sé stessi e concentrarla su una dimensione dello spazio o del tempo, dalla quale tornare a osservare sé stessi e il problema che affligge. Guardare le cose in prospettiva aiuta ad allargare gli orizzonti e a tenere in considerazione altre possibilità, uscendo dalla gabbia di convinzioni rigide, funzionali soltanto all′affermazione o alla conferma della propria identità. Considerato in una prospettiva temporale futura o da un punto di osservazione dislocato nello spazio o nel tempo, ogni tormento appare ridimensionato e riduce la sua potenza devastatrice. Per ottenere questo risultato è però necessaria una mente elastica, flessibile, duttile, incline alla fantasia e all′immaginazione, non predisposta all′identificazione con le proprie convinzioni e meno che mai orientata all′empatia con paure e ansie personali, una mente allenata al distacco e al lasciar andare/lasciar scorrere. Facciamo un esempio, per verificare l′importanza di questo atteggiamento: consideriamo una situazione qualsiasi del passato, anche infantile, che abbiamo vissuto con angoscia e inquietudine. Analizzata nella prospettiva attuale, con gli occhi del presente, decontestualizzata, essa appare ben poca cosa, del tutto ridimensionata rispetto a quel momento del passato che ci aveva procurato tanta sofferenza! Tutti i bambini hanno paura dell′uomo nero, del mostro, tutti noi da bambini abbiamo guardato sotto il letto o dentro l′armadio per verificare la presenza o meno di entità maligne. Questi atteggiamenti oggi ci fanno sorridere, allora li vivevamo con terrore: è cambiata la prospettiva temporale, siamo in una prospettiva mentale completamente diversa! Allo stesso modo, cioè con il distacco che conviene a una mente adulta, abituata alla riflessione e al ragionamento, dovremmo considerare i pensieri, le preoccupazioni, le paure che rappresentano il carburante delle ruminazioni ossessive e trarne le dovute conseguenze.

70) La celebre frase di Newton, che esprime l′impossibilità di andare al di là della descrizione dei fenomeni per cercarne la causa, ′Hypotheses non fingo′ (′non invento ipotesi′), aveva valore nel campo fisico dello studio della natura; perde la sua importanza nell′ambito delle scienze umane, al cui interno è invece fondamentale la ricerca delle cause dei fenomeni in questione. In quest′ambito non è solo la spiegazione delle motivazioni che stanno alla base dei comportamenti a costituire fonte di estremo interesse; è la propensione stessa a inventare ipotesi - cioè, fare previsioni anche dettagliate di stati di cose futuri, prefigurare sviluppi, scenari, tendenze di costume, assetti personali/collettivi o politico-sociali e tecnologici in chiave negativa o positiva, cioè in forma distopica o utopica - che costituisce un′inclinazione insopprimibile dell′animo umano. Ai tempi di Newton la ricerca delle cause dei fenomeni naturali sconfinava nella teologia, per questo motivo il grande scienziato inglese si limitava alla descrizione di tali fenomeni, mentre oggi il progresso scientifico consente di cercarne la spiegazione. In ogni caso la tendenza a prefigurare scenari futuri è pressoché universale, la differenza dipende dall′inclinazione ottimistica oppure pessimistica, con una prevalenza - nell′attuale situazione storica e sociale - dell′atteggiamento distopico e pessimistico, rispetto all′atteggiamento utopico e ottimistico, diffuso negli anni 60 e 70 del Novecento. Rimane sempre comunque la possibilità che un evento impensabile e del tutto inaspettato possa accadere e stravolgere ogni previsione: è la famosa teoria, elaborata dal matematico libanese Nassim Taleb, del ′cigno nero′, una potente metafora che, facendo intervenire l′evento impossibile da prevedere o persino immaginare, è talmente spiazzante da mettere in discussione i codici interpretativi (compresa la relazione di causa/effetto), generalmente usati per leggere la realtà. Tale teoria rimanda al rifiuto newtoniano di formulare ipotesi, dal momento che l′attendibilità delle previsioni umane può sempre essere smentita e messa in discussione dalla casualità di eventi inaspettati e imprevedibili, sia per quanto riguarda le previsioni utopiche che quelle distopiche.

71) Quando si parla del mistero della fede, i credenti la considerano un dono di Dio: questa convinzione suscita molte perplessità, soprattutto riguardo al criterio in base al quale Dio avrebbe assegnato ad alcuni la fede (i prescelti) e ad altri no. Sembra più sensato considerare la fede non un dono, quanto piuttosto una scelta di vita, atteggiamento questo che salvaguarda il libero arbitrio e affida alla responsabilità umana la garanzia della salvezza o della dannazione eterna. La decisione di impegnare la propria vita per la fede esclude il dubbio riguardo all′esistenza di Dio; per coloro che non hanno fatto questo tipo di scelta, rimane la sospensione del giudizio, cioè la posizione agnostica, secondo la quale non si può né affermare né negare l′esistenza di Dio, in quanto gli strumenti intellettivi e cognitivi umani non lo consentono, talmente assoluta è la sproporzione e la distanza tra l′uomo e Dio. A conferma di questa ipotesi, è possibile considerare la questione dal punto di vista del confronto prospettico: supponiamo che la relazione tra uomo e Dio sia la medesima che ci può essere tra una mosca e un uomo e che vogliamo mettere a confronto quanto l′uomo può conoscere e capire qualcosa di Dio, con quanto una mosca può conoscere e capire qualcosa dell′uomo. In entrambi i casi il risultato è uguale a zero, nessuna possibile conoscenza e comprensione, dal momento che gli strumenti percettivi e cognitivi dell′uomo e della mosca non consentono alcuna cognizione di Dio da parte dell′uomo, né dell′uomo da parte della mosca: mondi reciprocamente alieni, non comunicanti tra loro, senza alcuna possibilità di interfacciarsi, differenze abissali, come il monolite a forma di parallelepipedo e gli scimmioni umanoidi all′inizio di ′2001 Odissea nello spazio′.

72) Nei punti 21 e 22 veniva esaltato il valore dell′impermanenza, della vacuità, del distacco, della fluidità...percorso non facile e impegnativo, senza garanzie quanto al risultato! Anche perché la lusinga dell′appartenenza, dell′inclusione, della connessione, della stabilità è sempre in agguato, con la sua collezione di elementi funzionali alla costruzione e al supporto dell′identità personale. Non si tratta di fare una scelta tra opposte strategie, perché non c′è scelta, in quanto entrambe presuppongono differenti contesti sociali di riferimento, contrapposte modalità di organizzazione della propria vita e del rapporto con le persone. L′appartenenza e l′inclusione hanno a che vedere con gruppi e società molto amalgamate e strettamente unificate da valori e credenze comuni, nelle quali l′identità personale è garantita dal legame e dall′auto riconoscimento reciproco. L′impermanenza, la vacuità, il distacco, la fluidità sono invece caratteristiche proprie di una ′società liquida′, contrassegnata dall′individualismo e dalla globalizzazione, una società senza regole, senza norme, in cui regna la precarietà, la paura e l′incertezza. Paure, ben descritte da Bauman, che lacerano la società contemporanea e che nascono dall′indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti. Quindi il paradosso, che ancora una volta lacera la coscienza, riguarda il fatto che il distacco e l′impermanenza sono strategie condizionate e persino incoraggiate nella società liquida, mentre l′appartenenza e l′inclusione hanno a che vedere o con associazioni dogmatiche, anche fanatiche, vincolate da ideologie circoscritte e spesso settarie, socialmente minoritarie, se non addirittura storicamente obsolete oppure con minoranze etniche. Il distacco e l′impermanenza consentono libertà di azione, anticonformismo, spregiudicatezza intellettuale, ma al prezzo di incertezza e senso di vuoto; l′appartenenza e l′inclusione garantiscono sicurezza identitaria, reciprocità e integrazione, ma al prezzo dell′omologazione e del conformismo.