Dott. Roberto Barbiani
Ricerca libera
26-10-2024

#6


54) Un diverso esperimento, di tutt′altro genere rispetto al modello hobbesiano del Leviatano, come tentativo di padroneggiare/tenere sotto controllo gli istinti aggressivi e violenti della natura umana - a parte quelli che storicamente ispiravano le varie sette utopistico/religiose tra il 1700 e il 1800 nella colonizzazione del Nuovo Mondo - si è manifestato negli anni Sessanta del ′900, con il movimento spontaneo, nato e cresciuto tra gli Stati Uniti e l′Inghilterra, conosciuto col nome di movimento ′hippy′ o ′hippie′. É improprio sostenere che il fallimento dei movimenti di controcultura giovanile e di protesta diffusi in Occidente nei favolosi ′Sixties′ sia dovuto a particolari errori di impostazione o ai variopinti stili di vita, compendiati nella famosa formula: ′sesso, droga e rock and roll′! I valori di cui erano depositari i giovani di quegli anni, sintetizzati nel ′peace and love′, costituivano a tutti gli effetti un argine potente contro gli istinti aggressivi e distruttivi insiti nella natura umana. Senza tuttavia per questo che la loro diffusione abbia efficacemente impedito guerre, massacri, omicidi, senza cioè fermare la ′sete di sangue′ della ′belva umana′. La soluzione al problema avanzata nel punto 52 - un microchip impiantato nel cervello - risulta ancora alquanto difficile da accettare, nonostante le considerazioni esposte sopra, perché mette radicalmente in discussione il libero arbitrio, generando di conseguenza problemi morali enormi. Ma - così per azzardare una domanda provocatoria a proposito del prezzo pagato dall′umanità nel corso del processo storico di civilizzazione - nel passaggio dalle foreste dell′Antropocene alle comunità primitive e da queste alle città civilizzate, quanta libertà è andata persa, quanto del libero arbitrio è stato sacrificato? La storia del processo di civilizzazione è una storia di adattamenti, di limitazioni, di balzi in avanti e di regressioni, di trasformazioni anche violente e di periodi di stagnazione, - il tutto riferito a un contesto storicamente determinato e al conflitto ad esso intrinseco tra forze e interessi contrapposti. Ciò che l′umanità ha guadagnato, nel corso millenario di tale processo, è inversamente proporzionale a ciò che ha perso (in termini di libertà e di spontaneità naturale).

55) Bisognerebbe considerare però che, da che mondo e mondo, la violenza è sempre stata matrice della storia, fattore di progresso oltre che di declino; il passaggio alla modernità è stato determinato da rivoluzioni cruente (quella francese, quella russa). Volerla neutralizzare con un microchip nel cervello significa decretare la fine della storia e dell′umanità, come l′abbiamo conosciuta finora, cioè, buttar via, insieme all′acqua sporca, anche il bambino dentro. Considerata in questa prospettiva, la risoluzione tecnologica alla tendenza all′aggressività e alla violenza insita nella natura umana appare come il più efferato delitto contro l′umanità, la cui essenza verrebbe sostituita da forme umane ibridate con macchine ipertecnologiche. Il proton pseudos della soluzione qui proposta consiste nell′illusione, tragica nel caso in esame, che sia possibile risolvere il problema in oggetto una volta per tutte, in modo definitivo e irreversibile, senza lasciare spazio alla reversibilità delle scelte e delle decisioni, in una specie di soluzione finale o definitiva, di matrice nazista. La questione non riguarderebbe soltanto il libero arbitrio, quanto un salto evolutivo paragonabile al passaggio dal modello pretecnologico di umanità, a una forma finora mai sperimentata di ibridazione uomo-macchina.

56) D′altra parte l′umanità è stanca, anzi non l′umanità, quanto piuttosto, l′Occidente è stanco; è dalla fine della Prima guerra mondiale che si parla di tramonto dell′occidente, così per riportare il titolo dell′omonimo saggio di Spengler. L′Occidente è stanco di guerre, di lavorare, di consumare, di guardare la televisione, di giornate sempre uguali, delle solite vacanze, di un tempo libero senza emozioni contrassegnato dalla noia, di esistenze il cui senso è scandito dai ritmi dalla pubblicità e omologato ai suoi criteri. E il resto dell′umanità sembra meticolosamente impegnato, a volte persino a rischio della vita, per raggiungere e fare propri gli standard occidentali, come se l′Occidente e il suo way of life rappresentassero un destino universale, ineluttabile e inesorabile. D′altra parte è stato oramai scandagliato tutto, l′interno (le emozioni più profonde dell′uomo), come l′esterno (i luoghi più remoti della Terra); rimangono solo mondi lontanissimi, pianeti desertici e inospitali, da colonizzare con l′aiuto della tecnica e sui quali trasferire parte dell′umanità per un nuovo inizio e una nuova avventura.

57) Nell′attesa dei viaggi intergalattici alla scoperta di nuovi mondi, sarebbe buona cosa riflettere accuratamente sul precetto di Epicuro, tramandato da Plutarco: ′làthe biòsas′, ′vivi nascosto′ e al contempo interrogarsi sul rapporto tra il suddetto precetto e la ′parresia′, il diritto/dovere di dire la verità. La tragica fine di Socrate, infatti, ha sicuramente avuto a che vedere con la sua determinazione nel dire apertamente la verità, riguardo a quello che pensava e questa evidenza deve aver senza dubbio influenzato Epicuro, per quanto concerne la sua raccomandazione di tenersi nascosto/lontano sia dalla vita pubblica, che dalla tentazione di esprimere in pubblico il proprio pensiero sub specie veritatis . Che cosa scriverebbe oggi un Nietzsche redivivo nel breve saggio ′Su verità e menzogna in senso extramorale′, pubblicato nel 1873? Che tipo di soggettività potrebbe risultare appropriata per la parresia? O meglio, che tipo di società e di contesto sociale potrebbe offrire garanzie ai parresiasti, riguardo alla loro inclinazione nel dire sempre e in ogni caso la verità? Certamente non una società formata da una morfologia umana come la conosciamo...forse una società di Ubermensen? Che cosa è in grado di portare l′uomo oltre/al di là di quello che è (sempre stato) e che la sua natura profonda, per certi versi coriacea ai cambiamenti, tradisce, pur nella trasmutazione storica di aspetti, sembianze e caratteristiche? Nel saggio sopra citato, alla domanda relativa a che cosa è la verità, Nietzsche scriveva: "Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria", cioè "metafore logorate"! Il percorso di trascendimento dell′umano, invocato dal pensatore tedesco, porta nella direzione del superamento della verità, non tanto nella versione del lavoro solitario, occulto, incessante e meticoloso relativo alla sua ricerca, quanto nella variante della sua ostentazione mediatica, abitualmente gestita in combinazione con la menzogna. L′oltreuomo non potrà quindi essere un testimone di verità, un rappresentante di ′metafore logorate′; la sua testimonianza rimanderà piuttosto al lavoro di ricerca e di scavo, fatto sottotraccia e in solitaria (su questo punto emerge il collegamento con il ′vivi nascosto′ epicureo), in contrapposizione con l′universale tendenza ad apparire, ubiquamente diffusa nelle società mediaticamente governate.

58) La questione del mentire o dire la verità, in contesti ristretti connotati emotivamente, come le relazioni affettive e sentimentali o di amicizia, è un argomento di non facile soluzione. In quanto comporta problematiche complesse, sia in un caso che nell′altro. Sarebbe facile ricondurre ogni volta la spiegazione del dilemma al contesto o alla situazione particolare, ma suonerebbe riduttivo, una rinuncia a prendere una decisione a favore del mentire o dire la verità. D′altra parte è riduttivo anche fare una scelta manichea, che di per sé si rivelerebbe astratta e generica. Il mentire o il dire la verità hanno a che vedere con la conversazione dialogica, che in quanto tale presuppone almeno due soggetti, il parlante e l′interlocutore. Nei contesti connotati emotivamente - le relazioni affettive/sentimentali o di amicizia - la cooperazione comunicativa spinge di solito gli interlocutori a selezionare temi e argomenti ritagliati sulle reciproche aspettative, atteggiamento che non impedisce il disaccordo anche aspro. Il che significa che le persone tendono reciprocamente a dirsi quello che vogliono sentirsi dire o quello che sono in grado di accettare o di sopportare di sentirsi dire. Questo significa che la comunicazione verbale non rimanda a un gioco assolutamente libero e incondizionato: esistono vincoli ben precisi che hanno a che vedere sia con le implicature conversazionali, relative non solo all′aspetto formale della comunicazione, ma anche e soprattutto all′aspetto di contenuto; che con i limiti di accettazione di determinati argomenti da parte degli interlocutori, vale a dire con la reciproca capacità di accettare/tollerare enunciati, che possono risultare estranei alle proprie convinzioni, persino al proprio universo semantico oppure considerati impropri o sconvenienti. La decisione di mentire o di dire la verità dipende quindi, tra le altre cose, dalla reazione che può avere l′interlocutore al discorso di verità del parlante, dalla sua capacità di accettare/sostenere un discorso di verità. Questo è il motivo per cui la scelta di dire o meno la verità, per quanto riguarda contesti relazionali connotati emotivamente/affettivamente, attiene più alle peculiarità psicologiche degli interlocutori, che a decisioni etiche in favore della verità.

59) Però è anche vero che la preoccupazione per il buon andamento della cooperazione comunicativa può spingere gli interlocutori a mentire per preservare il rapporto e la collaborazione tra loro, il che risulta essere un proposito molto strumentale, per non dire meschino. In quanto privilegia il non sapere in funzione della stabilità relazionale, come se fosse realmente possibile mantenere a lungo un rapporto di intimità emotiva fondato sul non detto e sulla menzogna. Quindi, tra la parresia socratica e il làthe biòsas di Epicuro, ambedue posizioni filosofiche ed esistenziali di indubbio valore e autorevolezza, sembra doveroso fare una scelta, perché tertium non datur......se non fosse che il dovere di prendere una posizione rimanda a quella che è stata chiamata da Paul Watzlawick ′l′illusione delle alternative′, in quanto le due possibilità di scelta non rimandano ad alternative reali, sono antitetiche solo apparentemente. La vera alternativa non è tra il mentire o dire la verità, ma tra una soggettività ego-centrata, del tutto assorta nella celebrazione di sé stessa, attraverso pratiche comunicative strumentali e una soggettività empatica, attenta alla cura e alla sensibilità dell′altro e predisposta al confronto e alla ricerca della verità, anche al prezzo della messa in discussione.

60) D′altra parte è anche vero che una soggettività capace di empatia e di attenzioni verso l′altro è una soggettività abbastanza sicura di sé, che non cerca a tutto tondo conferme e gratificazioni; è una soggettività che coltiva un narcisismo moderato, non assoluto e incondizionato, come invece nel caso della soggettività egocentrata. La cura e l′attenzione verso il prossimo non sono però sufficienti a garantire l′equilibrio e il benessere personale; anche una relazione gratificante, una famiglia felice e un lavoro soddisfacente possono non bastare; la soggettività è un coacervo di inclinazioni, di passioni, di desideri che il più delle volte devono venir sacrificati sull′altare della Legge, l′insieme delle norme che regolano la convivenza sociale e civile, stabilendo ciò che è permesso e ciò che è vietato. La Legge, assimilabile al sovrano assoluto di Hobbes, riveste la medesima funzione, quella di impedire il bellum omnium contra omnes, attraverso il sacrificio e l′omologazione delle inclinazioni e dei desideri, generando ansia e frustrazione allo scopo di preservare la vita. Se questa è la situazione, in quale modalità dovrà porsi un percorso terapeutico non orientato a incoraggiare una soggettività omologata e supina alla Legge, ma finalizzato invece a sostenere quelle inclinazioni e quei desideri che costituiscono il marchio di fabbrica di una soggettività frastornata e disorientata?

61) Che cosa rappresenta la Legge? Da che cosa è costituita la sua organizzazione? Ogni soggetto umano ancor prima di nascere è sottoposto alla Legge, la cui incarnazione si palesa di volta in volta nella Lingua, nello Stato, nei Comandamenti (la Legge di Dio), nel Codice della strada. Freud - nella rilettura lacaniana - ha dimostrato, attraverso le manifestazioni dell′inconscio e, soprattutto, attraverso i sintomi, che il soggetto paga un prezzo alla sottomissione alla Legge: la sua normalizzazione avviene in termini di sottrazione del godimento, in una logica in cui il sintomo costituisce il recupero di questa perdita di godimento e la pulsione di morte (altro nome del godimento freudiano) il residuo indistruttibile che resiste alla sottomissione alla Legge. Nel senso che, attraverso la rinuncia al desiderio in nome della Legge, il cui fine è di garantire la vita di tutti, il soggetto paradossalmente soddisfa la pulsione di morte. Lo scopo della terapia sarebbe di tentare di ristabilire quella verità fondata sul desiderio del soggetto, marchiato fin dalla nascita dalla scissione operata dalla Legge, nello specifico, in primis, e non solo per ragioni anagrafiche, dalla Lingua. Terapia intesa come lavoro di recupero di quella verità che la Legge, in qualità di sovrano assoluto hobbesiano, ha asservito alla logica efficientistica del rendimento e della produttività, logica che Lacan ha chiamato ′il discorso del padrone′.

62) Terapia quindi non come percorso fuori-legge, ma come disvelamento/potenziamento del desiderio del soggetto, la cui condizione, antagonistica rispetto alla Legge, impegna di conseguenza la terapia in un compito a tutti gli effetti rivoluzionario, così come è stata rivoluzionaria la psicoanalisi freudiana agli inizi del 900. Circostanza paradossale nell′epoca contrassegnata dalla rivoluzione tecnologica, unico modello di rivoluzione sopravvissuto in una società che ha vanificato le rivoluzioni in quanto tali, relegandole a un passato oramai diventato obsoleto! Il che non significa che il cambiamento nella società postindustriale ha finito di esistere, esso continua a ritmi elevati, solo che il fattore che lo determina non è ideologico, economico o politico come è stato nel ′900, ma è tecnologico, è la rivoluzione tecnologica che detta la scaletta/l′agenda del cambiamento sociale e antropologico. Nella fattispecie, sono stati Internet e gli smartphone di ultima generazione che hanno rivoluzionato atteggiamenti, abitudini, modi di essere/di amare/di relazionarsi/di percepirsi, in un modo così radicale, che la storia del genere umano si può dividere tra un prima e un dopo la diffusione dei devices elettronici. La rivoluzione tecnologica comporta l′omologazione e la standardizzazione generale a livello planetario; ciò che resta, il non ancora omologato (fino a quando?) è il desiderio, la tensione irriducibile che frantuma il soggetto, destabilizza la sua identità, lo espone alla vertigine della mancanza e al mistero della sottrazione di senso. Ciò che resta è quella ′cosa′ che la terapia fa in modo di impedire che venga rimossa o che vada smarrita per sempre.

63) L′ultimo stadio della rivoluzione tecnologica è l′intelligenza artificiale (AI); l′unico dubbio - tra i tanti - che rimane irrisolto riguardo al suo utilizzo è il seguente: riuscirà l′AI a imparare dai propri errori e a modificarsi conseguentemente? Durante il corso dell′evoluzione umana l′errore ha sempre costituito la maggior fonte di apprendimento e di cambiamento, vale a dire di progresso! Qui non si tratta solo di imparare a imparare, di machine learning o di tecniche di apprendimento, qui il punto focale è porre l′errore al centro del processo di apprendimento e il dubbio se l′AI, con le sue sequenze di algoritmi e la sua perfetta efficienza, potrà mai avere questa impostazione o questa vocazione! Interrogata sulla capacità o meno di imparare dai propri errori, Chatgpt ha risposto che "l′AI può imparare dagli errori che commette attraverso un processo chiamato apprendimento automatico o anche apprendimento supervisionato...in cui l′AI impara dagli errori attraverso feedback positivi e negativi ricevuti durante l′interazione con l′ambiente (reinforcement learning)". Concesso che l′AI impara dagli errori, la domanda successiva è: perché l′errore è così importante nel processo di apprendimento? Risposta sintetica: perché l′evidenza dell′errore sottopone il pensiero - impegnato a rivedere/riformulare continuamente convinzioni e certezze - a un processo di costante rimessa in discussione, che non potrà che essere interminabile e avere un carattere non lineare, più o meno nello stesso modo in cui Popper poneva l′accento sul principio della falsificabilità allo scopo di distinguere le teorie scientifiche - suscettibili di essere smentite/confutate da esperimenti che le possano dimostrare false - da altri campi del sapere (come la religione, le ideologie, la letteratura) che non possono essere sottoposti al suddetto principio.