0) Il principio ispiratore delle seguenti riflessioni non è didascalico, è personale, ha a che vedere con il bisogno di trovare un filo conduttore, utile ed efficace, nel lavoro terapeutico con i pazienti, una specie di guida, concepita innanzitutto per me stesso. Il riferimento analogico del titolo è alla guida turistica, considerata sia nell′accezione cartacea di baedeker, contenente informazioni su attrazioni, luoghi di interesse, alloggi, ristoranti, trasporti, aree di svago, che si possono trovare all′interno di un′area turistica; sia nell′accezione di persona, la cui professione consiste nell′accompagnare i viaggiatori alla scoperta delle mete di interesse turistico. In entrambi i casi l′allusione è al viaggio, nella fattispecie mentale, sui binari della riflessione e del pensiero, finalizzato alla compenetrazione tra considerazioni psicologiche e salute mentale, avente lo scopo di fornire un contributo efficace sia all′attività terapeutica in quanto tale, che al benessere personale. L′allusione al celeberrimo coro del Nabucco di Verdi è motivata dalla suggestione evocata dal grido di dolore di un popolo oppresso che anela alla libertà e all′autodeterminazione. I punti in questione hanno l′ambizione di stimolare una riflessione su particolari aspetti del vissuto psicologico - a livello personale, relazionale, persino politico - che possono risultare problematici o addirittura patologici nel confronto comunicativo e nell′interazione tra le persone, come anche nel percorso di cambiamento e di crescita psicologica di ognuno. Il loro presunto interesse deriva dalla constatazione che le diverse scuole terapeutiche dispongono di un notevole apparato concettuale, relativamente all′interpretazione e alla diagnosi di problematiche e patologie, ma spesso difettano di proposte terapeutiche efficaci. La scelta degli argomenti è del tutto casuale, anche se ruotano prevalentemente attorno al problema dell′ansia e al suo possibile trattamento; le riflessioni in oggetto tradiscono la risonanza terapeutica, nel cui ambito sono state concepite; la loro finalità - pur essendo indiscutibilmente strumentale e funzionale al lavoro terapeutico con i pazienti, alla necessità di fornire loro un sostegno efficace nel lavoro di rielaborazione personale e di messa a fuoco di problematiche e inquietudini - ambisce a presentarsi, in modo frammentario, come contributo o dispositivo concettuale, genericamente fruibile per l′introspezione e la meditazione.
1) L′ansia è il malessere più diffuso; quando eccede lo stato normale di tensione psico-fisica utile all′adattamento, si trasforma in un disturbo mentale caratterizzato da sensazioni di preoccupazione, di tensione, di malessere, di paura, accompagnato il più delle volte da una sintomatologia fisiologica molto fastidiosa, difficile da gestire. L′ansia è contrassegnata da pensieri intrusivi, che si riproducono in forma di ruminazione e che si sottraggono al controllo cosciente. Il suo palesarsi evidenzia la presenza di un problema o di una situazione problematica, le cui manifestazioni, a livello psicologico, si esprimono attraverso un incalzare incessante di pensieri e sensazioni negative, di stati mentali di paura, di preoccupazione, di rabbia, che alterano l′equilibrio emotivo e monopolizzano ogni altra forma di attività mentale, concentrando su di sé tutte le energie psicologiche. Per questo motivo non è facile pervenire a risultati soddisfacenti nella cura dell′ansia, se non al prezzo di una conoscenza accurata del problema e di un′estrema concentrazione su di esso, oltre che della padronanza di tecniche terapeutiche efficaci.
2) Le persone vanno in terapia perché sono afflitte da problemi che non riescono a risolvere; il professionista (psicoterapeuta o psichiatra) ha il dovere, morale e professionale, di fornire loro gli strumenti necessari per affrontare i problemi che le opprimono. La terapia non può consistere soltanto nel racconto, da parte del paziente, del suo vissuto personale o famigliare, accompagnato dall′esposizione dettagliata della situazione problematica che lo ha indotto a cercare aiuto. Il momento anamnestico è fondamentale; ad esso va però necessariamente accompagnato il momento maieutico, consistente nello stimolare il paziente - attraverso il percorso terapeutico - a modificare i propri schemi cognitivi ed emotivi, così da renderlo autonomamente in grado di affrontare e gestire il problema che aveva portato in seduta. E i problemi, di qualunque tipo siano, vanno affrontati e risolti; evitare di farlo, archiviarli, rimuoverli o procrastinarli, significa soltanto dar loro la possibilità di ripresentarsi. La qualità della terapia si misura proprio nella capacità del professionista di rendere attraente e quindi desiderabile per il paziente l′acquisizione di un paradigma mentale funzionale alla risoluzione del suo problema.
3) Possiamo parlare di problema ogni volta che ci troviamo di fronte a una discrepanza tra il nostro stato attuale e ciò che desideriamo o che speriamo; oppure quando abbiamo un obbiettivo e non sappiamo come raggiungerlo o qualcosa ci impedisce di raggiungerlo; o quando perdiamo il controllo della nostra mente, che si trasforma in un groviglio intricato o in un susseguirsi irrefrenabile di pensieri (generalmente negativi) che ritmano il timbro della ruminazione ossessiva; o altrimenti, quando una situazione (che in questo caso viene vissuta come problematica) non può essere affrontata/risolta con i soliti schemi mentali o attraverso le conoscenze e le informazioni possedute, perché richiede - per essere affrontata/risolta - nuovi schemi, procedure differenti, pensieri insoliti e divergenti. In tutti questi casi siamo alle prese con un problema. É innanzitutto indispensabile, di fronte a una situazione problematica, che in quanto tale coinvolge e si impadronisce dell′emotività a livelli diversi di intensità, identificare il problema, i fattori principali che lo costituiscono, produrre cioè una descrizione accurata di ognuno di essi: quando è iniziato, perché è sorto, dove/come si presenta, chi è coinvolto, che cosa mette in discussione, in che modalità mette in crisi, che prezzo dovrà essere pagato se non verrà risolto e che cosa potrà accadere in questo caso.
4) Una volta messo a fuoco il problema, attraverso l′individuazione/rappresentazione mentale delle sue caratteristiche, diventa cruciale l′atteggiamento personale nei confronti della situazione problematica: l′aspettativa, cioè, che il problema è risolvibile e la convinzione che la sfida che esso pone alle personali capacità di trovare una soluzione non verrà vissuta come una minaccia, con conseguente evitamento del problema e senso di frustrazione, ma con la consapevolezza che in ogni caso sarà possibile trovare una soluzione, fosse pure l′ammissione che la soluzione non esiste. Tale consapevolezza riposa sulla aspettativa che il cambiamento della prospettiva personale, auspicabile e comunque in ogni caso realizzabile, costituisce una garanzia certa della risolvibilità del problema.
5) Il passo successivo porta all′analisi del problema, all′approfondimento dei dati utili e dei fattori rilevanti per mettere in atto una strategia finalizzata alla ricerca di una soluzione, che include la capacità di pianificare mezzi e programmare azioni orientate a fini/scopi/obbiettivi. Quindi la parte cruciale e significativa del problem solving consiste nella capacità di rappresentare mentalmente le coordinate intrinseche al problema o alla situazione problematica, nell′immaginare le probabili soluzioni, consapevolmente certi che la possibile via d′uscita passa attraverso un cambiamento/una modificazione della nostra rappresentazione mentale del problema, oltre che la ricerca ostinata di ipotesi pertinenti ed esplicative di soluzione. É un mental work ininterrotto fatto di pensieri, idee, concetti, collegamenti, ragionamenti e finalizzato al risultato. É inevitabile a questo punto, enucleare una chiave di lettura, fare intervenire il concetto di intermittenza, come caratteristica fondamentale sia dell′agire umano che della modalità emotiva/affettiva/relazionale del sentire, la cui organizzazione e struttura è decisamente rapsodica e discontinua, non lineare e ininterrotta. L′intermittenza dell′umano agire e sentire, il suo procedere in modo frammentario e a zig-zag, consente di fornire una possibile spiegazione all′apparente incoerenza e discontinuità relativa agli aspetti paradossali del temperamento umano.
6) Se noi avessimo una intuizione immediata del mondo, di noi stessi e di ciò che accade, non avremmo bisogno del pensiero e del ragionamento. Tanto più che i fatti non parlano da soli, hanno bisogno di essere interpretati; anche le nostre convinzioni hanno implicazioni di cui non sempre siamo consapevoli. In conclusione, per trovare spiegazioni e fare previsioni abbiamo bisogno di pensare, di concatenare ragionamenti. Ragionare è un processo mentale complesso, che coinvolge la capacità di pensare in modo logico e coerente e che permette di conseguire determinate e cruciali competenze: formulare argomentazioni, giungere a conclusioni, prendere decisioni, risolvere problemi, valutare in modo critico le informazioni. Noi ragioniamo quando, partendo da ciò che è noto, da ciò che sappiamo/conosciamo, arriviamo a qualcosa di non ancora conosciuto (o perché può costituire una generalizzazione dei dati in nostro possesso, o perché implicito in essi, oppure perché costituisce una previsione di qualcosa che deve ancora realizzarsi).
7) Le informazioni in nostro possesso cominciano a parlarci quando le sottoponiamo alle domande corrette, le quali a loro volta ci guidano alle inferenze/deduzioni necessarie per arrivare alla soluzione del problema. Ragionare non significa semplicemente trarre inferenze, ma trarre inferenze guidate da domande. Saper porsi le domande corrette, imparare a interrogare/interrogarsi riguardo a ciò che costituisce il limite, non tanto e non solo delle nostre possibilità, quanto delle nostre fragilità, il confine oltre il quale il rischio è di precipitare nel caos, - tutto questo è cruciale, sia nel setting terapeutico, che a livello personale. Ragionare significa quindi trarre inferenze in modo consapevole e articolato; il grado di verità/affidabilità delle conoscenze e delle convinzioni determinerà il livello di verità/affidabilità delle conclusioni, che possono a loro volta diventare le premesse di nuove inferenze/deduzioni, fino all′epilogo finale, la soluzione del problema.
8) Allenare la mente al ragionamento ha quindi a che vedere con la capacità di porre domande pertinenti, per arrivare a risposte adeguate, affidandoci allo scorrere dei pensieri, evitando di fissarli in schemi ripetitivi e soprattutto sottraendoci alla tentazione di una fusione empatica con essi, rimanendo cioè all′interno di una logica orientata alla processualità e al lasciar andare. Allenare la mente al ragionamento significa abituarci alla concatenazione dei pensieri, al fluire dei ragionamenti, alla consapevolezza che la loro coerenza ha a che vedere con uno sviluppo interno all′ordine del senso e del significato, la cui regola fondamentale è il fluire e il concatenarsi, in un gioco di richiami, di impliciti, di presupposti. L′adaequatio rei et intellectus rimanda, nell′infinito gioco di riferimenti e significati sotteso al ragionamento, alla coerenza logica e alla veridicità dei pensieri, la cui potenza si manifesta nella capacità di mettere in discussione vecchi schemi e di produrre nuove conoscenze. L′identificazione empatica con i propri pensieri blocca il loro libero fluire e di fatto ostacola le potenzialità del ragionamento. Questa è la via tracciata da Aristotele nell′Etica Nicomachea, quando parlava di ′virtù dianoetiche′, che si riferiscono al retto comportamento della ragione discorsiva e conoscitiva (diànoia) in ogni aspetto della vita.
9) Il punto 4 ha sottolineato la disposizione mentale e psicologica indispensabile nei confronti di ogni problema o situazione che abbia caratteristiche problematiche: la convinzione, cioè, che sia sempre e in ogni caso possibile trovare una soluzione, fosse pure l′ammissione che la soluzione non esiste. Questo atteggiamento mentale e psicologico si oppone all′orientamento fatalista, che, di fronte a problemi apparentemente insormontabili, reagisce con la paralisi della ricerca di soluzioni. La determinazione nel trovare la soluzione a ogni tipo di problema potrebbe però far nascere il sospetto di una ùbris concettuale, un senso di onnipotenza nelle potenzialità del ragionamento e del pensiero. D′altra parte è fuori discussione che non possediamo uno strumento più efficace, sia per affrontare le situazioni problematiche che di volta in volta si presentano, sia per sfidare ansie, paure, dubbi. Questo atteggiamento non è il risultato di un processo spontaneo o di una predisposizione psicologica intrinseca: è il risultato di una scelta, di una decisione strategica, di una modalità specifica di affrontare l′esistenza, modalità che predispone verso ed è condizionata da una concezione della vita orientata in senso qualitativo.
10) La qualità della vita rimanda alla percezione che gli individui hanno del valore e del significato delle loro condizioni di vita, in relazione alla salute fisica innanzitutto e contemporaneamente al benessere materiale, psicologico, relazionale, professionale. Questi sono i parametri che misurano la qualità della vita, ognuno dei quali rimanda ai diversi livelli e alle situazioni molteplici dell′esistere. Nell′ambito delle relazioni, per fare un esempio, il livello della qualità rimanda al valore dell′intensità; in ambito professionale il riferimento è alla soddisfazione; in ambito psicologico il grado qualitativo ha a che vedere con ingredienti quali il benessere, la sicurezza, il piacere, il riconoscimento reciproco; mentre nell′ambito materiale della vita, i parametri per misurare la qualità sono diversi a seconda del campo/settore considerato di volta in volta (alimentare, abitativo, della salute, dei mezzi di trasporto, dell′abbigliamento, ecc.).
11) L′indispensabile predisposizione verso la qualità va coltivata attraverso scelte e decisioni condizionate di volta in volta dai parametri sopra citati: l′intensità, il valore, il senso e il significato, la soddisfazione, il piacere, la sicurezza, il riconoscimento reciproco e anche il riconoscere sé stessi in ciò che si fa/che si vive e nelle persone con le quali ci si relaziona. La ricerca e la pratica della qualità della vita non si riduce però alla sua definizione sociologica e statistica, che rimanda alla condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, prospettiva questa che potrebbe apparire come una prerogativa appartenente al mondo industrializzato e ipersviluppato, una prerogativa condizionata, cioè, da parametri economici e geografici. La qualità della vita ha a che vedere invece con un determinato stile di vita, un′attitudine personale influenzata da schemi percettivi, emotivi, psicologici orientati verso la qualità, più che verso la quantità, schemi derivanti da una ricerca continua, da una stimolazione tenacemente perseguita, da un′educazione alla raffinatezza e al gusto. L′approdo di tale ragionamento non rimanda a nessuna ′Metafisica della qualità′ (Robert Pirsig) e nemmeno all′esaltazione dell′immediatezza naturale e della spontaneità, quanto piuttosto all′attitudine e all′inclinazione per l′affinamento e il perfezionamento del gusto personale, in un percorso di ricerca che non ha mai fine.
12) La salute e il benessere psicofisico sembrano passare attraverso l′attività del pensiero e del ragionamento; con ogni evidenza però è l′emotività a stabilire il livello della salute e del benessere psicofisico, come è testimoniato dalla domanda che le persone si rivolgono ogni volta che si incontrano: ′come stai?′. Il punto è che l′emotività non è assoggettata al controllo cosciente, essa segue regole proprie estranee alla logica razionale, anche se all′interno di un evidente condizionamento reciproco tra loro. Una indagine orientata alla ricerca della cura e della salute psicofisica non può che concentrarsi su ciò che ha a che vedere con il nostro controllo, che attiene all′ambito della parola e del linguaggio e, per traslazione, del pensiero e del ragionamento. La consapevolezza della distinzione tra ciò che è nell′ambito del nostro controllo e ciò che è invece al di fuori del nostro controllo costituisce un presupposto indispensabile per ogni atteggiamento che si ponga in modalità terapeutica sia in ambito personale/esistenziale che professionale. Noi siamo responsabili di ciò su cui abbiamo il controllo e che può riguardare i diversi ambiti del nostro agire: ciò che diciamo, ciò che facciamo, il modo in cui ci comportiamo e che concerne tutto ciò che attiene all′ambito delle cose/persone/situazioni che hanno a che vedere personalmente con noi e nei cui confronti la nostra sfera di azione e di influenza è determinante. Su tutto ciò che è estraneo al nostro controllo, anche se ci riguarda direttamente da vicino o ci condiziona in modo profondo, non abbiamo appunto nessun controllo o ce l′abbiamo in modalità accidentale, fortuita e imprevedibile. È inutile quindi stare male, tormentarsi, sprecare energie per ciò che è fuori dal nostro controllo; è indispensabile al contrario concentrarci e investire energie su ciò che rientra nel nostro controllo, l′unico ambito nel quale è possibile conseguire risultati validi ed efficaci ed evitare un rimuginare sterile e ossessivo. A questo serve appunto la res cogitans, l′attività del ragionamento e del pensiero, come è stata delineata sopra.
13) Lo stato di benessere personale corrisponde allo stato di appagamento, che rimanda alla sensazione di pienezza, consistente nel non sentire la mancanza. La percezione della mancanza viene generalmente vissuta con frustrazione e insoddisfazione, peculiarità che possono generare amarezza, delusione, disagio. Sia lo stato di bisogno che il desiderio hanno a che vedere con la mancanza, sono cioè vissuti - finché non vengono esauditi - con senso di malessere. Tralasciando lo stato di bisogno, che in linea di massima risulta più o meno appagato nelle società opulente del mondo occidentale, il desiderio merita attenzione, in quanto onnipresente nelle aspettative generali, aspettative che il più delle volte vengono deluse o si traducono in senso di frustrazione e di fallimento. Caratteristica specifica del desiderio, infatti, è di rimandare a un appagamento, la cui soddisfazione viene costantemente differita a un tempo futuro, quando l′aspettativa potrà venir realizzata; in sostanza il desiderio tende a proiettare l′oggetto cui tende verso una dimensione temporale di là da venire, un tempo di infinita attesa, quanto di immancabile delusione, verso un ′waiting for Godot′ nel quale è preclusa la possibilità di vivere nel/il presente. Anche in questo caso la soluzione del problema passa attraverso la disciplina del ragionamento e l′abitudine al costante esercizio del pensiero, che, nel caso in questione, comporta parecchie risoluzioni: la decisione di rimanere ancorati al presente, il rifiuto di vivere uno stato mentale di perenne aspettativa e di mancanza, la rinuncia al soddisfacimento improrogabile del desiderio, la ricerca della pienezza e dell′equilibrio emotivo. Queste sono le condizioni grazie alle quali diventa possibile non sentire la mancanza, con tutto quello che essa comporta e pervenire a quella sensazione di vuoto interiore che non è mancanza, ma coincide con un senso di pienezza e di appagamento.