126) Si può affermare, schematizzando molto, che nel corso della storia le classi dominanti occupavano il tempo a farsi la guerra, quelle dominate erano impegnate a sopravvivere! A partire dalla rivoluzione industriale nell′Occidente capitalistico, il lavoro diventa per tutti, a diverso titolo, l′opportunità più diffusa di sostentamento economico, di realizzazione personale e di relazioni interpersonali, oltre naturalmente che il modo più diffuso di occupare il tempo, di tenersi impegnati, di distrarsi da sé stessi. In quest′ultima accezione, non tanto o non solo perché questo consentiva di non pensare al comune destino, sintetizzato da Pascal nella ′miseria umana′, ma per il fatto che l′essere umano, non sottoposto a impegni e costrizioni, è destinato all′abbrutimento. La scritta ′Arbeit macht frei′, sui campi di concentramento nazisti, esprime, in maniera tragica e paradossale, questa sconsolata verità: il lavoro, come forma condivisa e universale di distrazione da sé stessi, assolve al compito di assegnare a ognuno dei vincoli che, tenendolo occupato in qualcosa, lo liberano dal pericolo di dover riempire diversamente il vuoto esistenziale, che lo condannerebbe altrimenti al degrado e all′abbrutimento. Non è un caso che l′industria dell′intrattenimento non sia mai in crisi e che macini profitti da capogiro! Intrattenersi è diventata una necessità inderogabile; le forme dell′intrattenimento vanno dal gioco al viaggio, dalle varie tipologie di spettacoli alla realtà virtuale, dagli sport all′ attività fisica, dalla lettura alla musica, dalla passione gastronomica agli interessi hi-tech. Anche le relazioni - sentimentali, affettive, sessuali, tradizionali, clandestine o virtuali - possono rientrare tra le varie forme di intrattenimento: sono tutte modalità concepite, oltre che per soddisfare i bisogni naturali, anche per evitare di sentire la percezione del vuoto esistenziale e del sentimento di angoscia che lo accompagna.
127) Quando l′Intelligenza Artificiale avrà completamente dispiegato le sue possibili applicazioni ai vari livelli della vita sociale e avrà sostituito l′uomo in tutte le attività di sua competenza, fra le quali il lavoro, l′umanità - finalmente libera da impegni e occupazioni, spesso alienanti - disporrà di una grande quantità di tempo completamente liberato da dedicare agli svaghi e al divertimento, il che potrebbe esporla al pericolo mortale della ′noia′! D′altra parte anche il desiderio si configura come uno dei tanti modi di affrontare (fare i conti con) la ′noia mortale′, come risulta evidente dalla ricerca, a volte frenetica, di stimoli o attività, che possano interrompere la monotonia e generare cambiamenti e novità nella propria vita. La noia si trova così da una parte a rappresentare paradossalmente il punto di arrivo della legittima aspirazione dell′umanità di liberarsi del lavoro (attraverso l′Intelligenza Artificiale) e dall′altra il punto di partenza di quell′attività per niente garantita e rassicurante, foriera anzi di frustrazione, che è rappresentata dal gioco del desiderio. A differenza del bisogno, che è stimolato da una mancanza, da un vuoto che chiede di essere colmato, il desiderio rimanda alla dimensione relazionale del ′desiderio dell′altro′, anzi lacanianamente ′dell′Altro′, che va oltre e non si esaurisce nella dialettica del riconoscimento, perchè esprime la spinta verso il desiderio del desiderio dell′altro. In questo senso il desiderio rimanda all′inquietudine di un vuoto che anela a riempirsi senza mai raggiungere il suo scopo, un vuoto che non potrà affatto essere saturato da un oggetto e nemmeno da un desiderio, perchè attratto ogni volta da un nuovo oggetto, da un nuovo desiderio.
128) A proposito della questione dell′alterità dell′io, concepita da Rimbaud con ′L′io è un altro′ e rilanciata da Lacan, è già stato detto tutto. Riguarda la scoperta che la soggettività è abitata da un′alterità, da un abisso insondabile, che non rimanda a un altro soggetto, all′immedesimazione del soggetto in un altro fuori di sé (in questo caso il poeta avrebbe scritto ′Io sono un altro′), quanto invece a una soggettività altra da sé stessa all′interno di sé stessa, a un′identità scissa e frammentata, appunto alterata strutturalmente nell′univocità della propria essenza. Esiste però una difformità all′identità dell′Io che attiene anche alla prospettiva diacronica e che ha a che vedere con l′alterità del medesimo sé in differenti contesti o momenti del decorso temporale, nel senso che ′Io′ sono altro da quello che sono in una situazione piuttosto che in un′altra oppure altro da quello che ero o che sono stato o che probabilmente sarò. Non tanto rispetto al trascorrere di settimane, mesi o anni, quanto nel passaggio dalla mattina al pomeriggio della medesima giornata e nella più assoluta uniformità dell′umore, dell′emotività, della concentrazione. Il che significa che la differenza abita l′Io, il quale in contesti e in momenti diversi della sua esperienza vissuta propone di sé una sequenza sempre differente di emozioni, umori, capacità di comprensione, di giudizio, di concentrazione. Come se il susseguirsi, anche contradditorio, delle maschere esibite nel confronto con gli altri, facesse da pendant all′alterità sincronica (l′Altro) e diacronica (il variare nel corso del tempo e nella girandola delle situazioni) del sé medesimo.
129) L′occhio del turista guarda tante cose, tanti quadri, tanti musei, tante località, ma non vede in realtà quasi nulla: che cosa vede l′occhio, quando guarda un quadro o una persona e che cosa in realtà non vede? L′attività percettiva è alla base sia del vedere che del guardare; il vedere richiede però un supplemento mentale e cognitivo, rispetto al semplice percepire, in termini di rielaborazione, di rievocazione, di connessione. Quello che l′occhio guarda viene presto dimenticato, il guardare accumula immagini, un′immensa caterva di immagini (siamo sempre e ancora nell′ambito della quantità); quello che l′occhio vede, viceversa, rimane scolpito nella memoria, il più delle volte per sempre (siamo nella dimensione della qualità). Il guardare non comporta una percezione attenta e particolarmente interessata, anche se è fuori discussione un certo grado di attenzione e di coinvolgimento. Il vedere può anche implicare un′attenzione disinteressata, ma non per questo distratta o frettolosa; il vedere punta al dettaglio o all′immagine, che mostra ciò che appare dietro la superficie, dietro la maschera. Cade a proposito, a questo punto, la citazione da Nietzsche ′Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi′! Il vedere coglie una forma, un profilo, una profondità che non risulta immediatamente evidente, che non risalta, anche se non si nasconde, è in bella mostra, lì davanti agli occhi. È ciò che ha descritto Edgar Allan Poe nel suo geniale racconto ′La lettera rubata′, debitamente riletto da Lacan. Un antico proverbio recita: ′Non c′è miglior cieco di chi non vuole vedere′! Perchè il punto della questione non riguarda solo la circostanza di non riuscire a vedere quello che è in bella mostra, ma anche il fatto di non voler vedere ciò che è davanti a noi! Non per cattiva intenzione, ma per una ristrettezza, una trascuratezza dello sguardo, un modo di vedere non coltivato, non allenato al guardare.
130) Nel punto 64 si è accennato al relativismo, all′impossibilità di pervenire a prospettive condivise, se non attraverso l′imposizione unilaterale, anche violenta, di un determinato punto di vista. La pluralità dei punti di vista è una buona cosa, così come il confronto/scontro tra opinioni divergenti; l′impossibilità di pervenire a punti di vista condivisi è una tragedia. Siamo dalle parti della ′dialettica negativa′ di Adorno, dell′impossibilità di pervenire alla ′sintesi′, dopo la ′tesi′ e l′ ′antitesi′ (Hegel)! In questa impossibilità è il legame sociale che viene meno, è la possibilità della comunicazione stessa che va persa! Anche in politica si palesa l′irriducibilità radicale dei punti di vista, al punto che le società democratiche sono spesso sull′orlo della guerra civile! Potrebbe avere una giustificazione l′indisponibilità ad accondiscendere, nel caso in cui la divergenza abbia a che vedere con interessi contrapposti o con ideologie antagonistiche; trovo meno accettabile l′impossibilità a pervenire a prospettive comuni, quando la posta in gioco è la difesa a oltranza del proprio punto di vista e l′incapacità di mettersi in discussione. Trovo cioè inammissibile l′atteggiamento di voler aver ragione ad ogni costo, di difendere le proprie idee, non perché siamo davvero convinti che rappresentano una prospettiva di verità, ma solamente perché concepite da noi, come se incarnassero un tratto della nostra identità e, solo per questo, ipso facto considerate vere, meritevoli di essere difese fino alla morte (del rapporto con l′interlocutore).