33) La massima di Wittgenstein "Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere" ha un valore trascendentale, perché delimita il perimetro non tanto di ciò che è conoscibile, quanto di ciò oltre il quale la riflessione si aggroviglia in interpretazioni contrastanti, che si risolvono il più delle volte in vicoli ciechi o punti morti. Ne sono esempi eloquenti l′eterna diatriba riguardo ad argomenti come Dio, il tempo, la bellezza, sul cui significato esiste un′ermeneutica infinita, senza che al contempo sia mai stato possibile pervenire a definizioni inconfutabili e definitive. Il che non ha impedito beninteso che, a proposito degli argomenti in questione, siano state fornite analisi sopraffine e approssimazioni geniali, che ne hanno di volta in volta riformulato il significato. Considero però uno spreco di energie accanirsi su argomenti il cui significato ultimo, a causa della loro complessità (non tanto della loro astrattezza), scivola sempre via e si sottrae a definizioni soddisfacenti e risolutive. La considerazione di porre un limite alle questioni che suscitano curiosità e interesse, cioè di ′tacere′ riguardo a ′ciò di cui non si può parlare′, ubbidisce a una logica (cfr. ′il rasoio di Ockham′) essenziale e anti-dispersiva, consapevole dell′importanza di concentrare l′attenzione e di convogliare i pensieri su tematiche accessibili all′approfondimento o circoscritte a una sempre possibile delucidazione. La funzione del principio di economia o principio di parsimonia (massimo risultato con il minimo sforzo) non solo come principio regolativo della conoscenza in generale, ma come indicazione metodologica degli argomenti o temi da sottoporre o meno all′analisi critica e al ragionamento, ubbidisce a un criterio terapeutico. Spesso la sofferenza e il tormento personale hanno a che vedere, infatti, con l′atteggiamento velleitario di concentrare l′attenzione e di convogliare i pensieri su tematiche psicologiche contorte e complicate, per lo più destinate a rimanere inevase, a causa della loro genericità e indeterminatezza, che bloccano il soggetto, alla ricerca illusoria di risposte e soluzioni. In situazioni di questo tipo il soggetto si trova imbrigliato in circoli viziosi cognitivi, che impediscono e di fatto bloccano lo scorrere del pensiero e del ragionamento. Non è possibile uscire dal circolo vizioso, se non abbandonando la fusione cognitiva con i pensieri disfunzionali, che hanno portato allo stato di imbrigliamento mentale, operando cioè una sorta di defusione cognitiva e di cambiamento di prospettiva.
34) Qualche approfondimento riguardo alla questione, finora accennata di sfuggita, della fusione con i propri pensieri e del rapporto tra questo atteggiamento e il tema dell′identità. Nei punti precedenti è emerso con chiarezza che la salute e il benessere mentale passano attraverso il distacco da sé stessi, la non identificazione con i propri pensieri, soprattutto, ma non solo, quando hanno il sembiante dell′ansia, della preoccupazione, se non addirittura dell′angoscia e del tormento. Rimane da spiegare il ′non solo′: se infatti il prendere distacco dalle proprie ansie e paure risulta essere una strategia terapeutica ampiamente e unanimemente accettata e dal momento che nei punti precedenti è stata delineato il profilo di una soggettività in perenne mutamento e trasformazione, risulta evidente che tale predisposizione della personalità non ha niente a che vedere con una identità stabile, statica, invariabilmente e perennemente conforme/uguale a sé stessa. Questione enorme, che coinvolge l′aspetto ancora una volta paradossale della natura umana: il bisogno psicologico e antropologico di conferme e quindi del riconoscimento della propria identità, da una parte e il carattere complesso, contradditorio, multiforme di una personalità in perenne mutamento, dall′altra!! Come conciliare il distacco da un sé che pretende in ogni occasione di essere confermato e riconosciuto?? Siamo nell′ambito del nietzschiano ′ubermensch′, dell′oltre uomo, del superamento di sé stessi e contemporaneamente del ′non identico′ e della ′dialettica negativa′ di Adorno/Horkheimer, fino ad arrivare alle logiche non-binarie! Ad un′analisi più minuziosa, il dilemma non ha tanto a che vedere con una contrapposizione manichea, quanto invece con l′approfondimento concettuale di quel groviglio multiforme e contradditorio che è l′identità personale. Nella quale convivono un′infinità di maschere (cfr. il romanzo di Pirandello Uno, nessuno, centomila), spesso in conflitto tra loro, ognuna delle quali plasmata nel confronto/scontro con gli altri. In questo caso l′identità non può ridursi alla somma quantitativa delle maschere, quanto invece all′assimilazione introspettiva e ai significati che ciascuno personalmente assegna alle medesime, attraverso la lotta per il riconoscimento di ognuna di esse. Se, dopo aver scandagliato i molteplici e contradditori aspetti della mia identità, accetto quello che sono e i limiti di quello che sono, non ho un assoluto bisogno del riconoscimento di un′altra persona, se non per un piacere perverso di gratificazione narcisistica. L′accettazione di sé stessi non è un processo semplice e meno che meno scontato; il confronto continuo con gli altri, soprattutto in un tipo di società competitiva e arrivista come la nostra, non aiuta in tal senso. Il narcisismo, d′altra parte, il culto della propria persona e della propria immagine, è un sentimento tanto diffuso, quanto potentemente incoraggiato dai media, per ragioni prevalentemente commerciali. Sottrarsi al destino narcisista, far prevalere l′empatia, l′immedesimazione con l′altro, privilegiare la cura e l′impegno per un′identità dedita al confronto, non all′autocompiacimento e al feticismo della propria immagine, è un percorso di crescita che richiede dedizione e impegno. Il significato etimologico di persona è ′maschera′, deriva dall′etrusco e dal latino e rimanda al corpo/maschera dell′attore teatrale. Se riesco a resistere al richiamo narcisistico e al bisogno di gratificazione, se evito di identificarmi nel mosaico di maschere che mi compongono e mantengo un atteggiamento di sano distacco, se lascio scorrere i pensieri senza fondermi in essi/con essi, - posso confidare su un′identità aperta, dinamica, fluida e sperare nella risoluzione, se non definitiva, almeno parziale, del paradosso.
35) Il richiamo liberatorio al distacco da sé e dagli altri ripropone il celebre apoftegma di Adorno: "L′abbraccio troppo stretto brucia, prossimità nella distanza", che rimanda all′altrettanto conosciuta favoletta di Schopenhauer sui porcospini! La fusione - nei propri pensieri, nelle proprie emozioni, ma anche nei pensieri e nelle emozioni di un′altra persona - comporta sempre un residuo di con/fusione, perché ostacola l′esercizio del ragionamento e l′obiettività del pensiero, impedendo una visione distaccata della realtà. Il che produce come effetto, a livello mentale, mancanza di chiarezza e di lucidità, in sostanza disordine e caos. A onor del vero, non è per niente facile rinunciare alla fusione, all′abbraccio troppo stretto, perché sono atteggiamenti che sgorgano spontaneamente dalla natura umana, in quanto riproducono l′iniziale legame di attaccamento con la madre. Ne è testimonianza la potenza, a volte tragica, della passione, che spesso travolge l′equilibrio mentale, offuscando il lume della ragione e trascinando il soggetto, spogliato di ogni parvenza di controllo, in un vortice spesso drammatico e ferale. La pratica del distacco, quindi, non può che essere il risultato di un impegno, cercato e fortemente voluto, di un esercizio e di una educazione al distacco, che vincola e coinvolge energie e forza di volontà, in quella che viene chiamata disciplina della mente.
36) La disciplina finalizzata al distacco (da sé stessi, innanzitutto, dagli altri come conseguenza) e al superamento della inclinazione morbosa all′attaccamento e alla fusione, rappresenta il modo in cui la mente ripara sé stessa. Le riflessioni esposte nel presente self-help terapeutico hanno come obbiettivo l′aspirazione o la presunzione di fornire materiali concettuali e sollecitazioni metodologiche, funzionali allo scopo di riparare la mente. Come la cassetta degli attrezzi serve al meccanico per riparare l′automobile o la bicicletta, le riflessioni qui riprodotte hanno l′ambizione di aspirare a cassetta concettuale degli attrezzi, funzionale all′offerta di spunti e stimoli per riparare la mente, per trasformare la mente, attraverso la disciplina e l′allenamento appropriato. Metaforicamente parlando, la succitata cassetta ha parecchie finalità: dovrebbe servire da propellente psicologico ( una specie di ′calisthenics′ mentale) per esercitarsi alla resilienza e conseguentemente per ripararsi/tirarsi fuori dalla afflizione esistenziale, come fece il barone di Mùnchausen, che si tirò fuori dalla palude in cui era precipitato, afferrandosi per il codino; oppure per realizzare una scelta ponderata tra alternative inderogabili alle quali non è possibile sottrarsi, perché hanno un valore categorico e non fittizio, come invece sembra possedere la celebre scommessa pascaliana, in cui se vinco guadagno tutto e se perdo non perdo niente; o per accettare sé stessi, evitando la ricerca ossessiva del confronto o l′ancora più pernicioso disconoscimento e autosvalutazione, cui è sempre sotteso il desiderio di essere un altro o altro da sé e il misconoscimento della propria alterità; oppure infine, per riparare la propria emotività, ferita o compromessa da situazioni, atteggiamenti, persone che ne hanno minato l′integrità e la dignità.
37) Proseguendo nella ricerca di spunti di riflessione riguardo a un argomento così attuale come la politica, sembrerebbe che le considerazioni finora esposte portino in una direzione del tutto estranea, rispetto a ciò che attiene all′ambito del governo della cosa pubblica, sia per quanto riguarda le decisioni inerenti alla sua gestione, che le concezioni ideologiche ad essa sottese. Il che farebbe pensare che la politica possa rientrare in ciò che Wittgenstein considerava come ′ciò di cui non si può parlare′, talmente distanti e inconciliabili sono le alternative tra le possibili scelte e le prospettive politiche che le ispirano. Se risulta impossibile collegare il piano della politica, cruciale in quanto ha a che vedere con la vita delle persone, a un quadro condiviso e a interessi generali; se ogni soggettività risulta testimoniare una prospettiva irriducibile e divergente (non solo al livello delle opinioni ideologiche e del modo di vedere il mondo, ma anche sul piano degli interessi economici e del tornaconto personale) rispetto alle diverse prospettive di soggetti differenti - situazione questa in cui la disgiunzione non separa, ma diventa essa stessa un mezzo di comunicazione, - allora il discorso politico e la sua pratica non possono essere gestiti nello spazio della dimensione umana, devono trovare una soluzione, che trascenda i limiti del conflitto delle scelte e della irriducibilità delle prospettive. La soluzione, in considerazione dell′attualità del dibattito che suscita, potrebbe essere cercata ricorrendo a quell′universalmente valido e sempre efficace ′Moloch′/panacea di tutti i mali, che è l′ Intelligenza Artificiale.
38) L′Intelligenza Artificiale rappresenta sia l′evoluzione potenziata della rivoluzione tecnologica, che il pericolo concreto di un suo sviluppo autonomo, rispetto alle disposizioni e al controllo umano. Non è una questione irrilevante sapere - tanto per fare un esempio - che il problem solving ipertecnologico, impegnato ad affrontare un problema cruciale come l′inquinamento, lo risolverebbe con lo sterminio dell′intera razza umana, obiettivamente e a ragione considerata come il principale fattore di inquinamento! Ma questa è la funzione e la vocazione della tecnologia, lo è sempre stata fin dai primordi, quella di risolvere problemi e di migliorare l′efficienza e la produttività. Anche nel caso in questione, siamo di nuovo nell′ambito, destinale e insieme fatale, del paradosso, cioè di un ragionamento apparentemente corretto, che deriva da premesse accettabili e condivisibili, che porta però a una conclusione inaccettabile o quantomeno contradditoria, il paradosso, cioè, come disvelamento della contraddizione. Ma il paradosso non ha soluzione e lo stesso vale per la contraddizione che esso rivela. E quindi? L′umanità non può assolutamente permettersi di rinunciare o fare a meno dell′Intelligenza Artificiale e della sua attitudine a simulare l′operativi, è nata/è stata concepita per questo unico scopo; il suo sviluppo autonomo, svincolato dal controllo umano, è solo questione di tempo: essa rappresenta la massima perfezione di quella ragione strumentale, che è stata alla base della logica borghese-capitalistica e del suo prolungamento nell′era dell′infocrazia e del neototalitarismo soft. Quindi....ci teniamo l′Intelligenza Artificiale e insieme i pericoli che essa comporta, la soluzione non esiste; niente e nessuno però può predire il futuro, tanto più che il caso, la circostanza fortuita, il capriccio accidentale sono sempre possibili, perennemente in agguato per sconvolgere i piani di un futuro, solo in apparenza predestinato e irreversibile.
39) Che incidenza hanno sull′equilibrio psicologico gli avvenimenti, filtrati dai mass media, di ciò che accade nel mondo? É fuori discussione che il bombardamento incessante di notizie di guerre, stragi, massacri, stupri, assassini, pandemie, imbrogli e via dicendo, incide pesantemente sul tono dell′umore, promuovendo la diffusione di paure, ansie, depressioni, ossessioni, attacchi di panico. Tanto più che le notizie vengono date in diretta, corredate da immagini e video che ne confermano il realismo e l′attendibilità, oppure vengono distorte ad arte e fatte passare come verità, anche se sono indubbiamente delle fake news. Da questo punto di vista Internet, a causa dell′estrema facilità di accesso e della mancanza di controllo, è diventato un enorme e variegato concentrato di informazioni, talune vere, altre palesemente false. É possibile difendersi da questo quotidiano condizionamento, senza rifugiarsi nel qualunquismo o nell′indifferenza? É possibile mantenere l′imperturbabilità e l′apatia, quando attorno le persone, per motivi diversi, muoiono oppure vivono condizioni inimmaginabili di violenza e di miseria o quando intere popolazioni sono irrimediabilmente esposte a situazioni di sopraffazione, di indigenza e di ingiustizia? É indubbiamente sempre possibile mettersi in pace la coscienza, facendo qualcosa di utile, per i bisognosi, per gli indigenti, per gli umiliati e offesi, attraverso l′impegno personale o indirettamente, tramite elargizioni a enti o associazioni che si occupano di carità e aiuto. Oppure rimuovendo da sé ogni responsabilità attraverso la concezione stoica (evocata sopra) che siamo responsabili solo di ciò che rientra nel nostro controllo e non responsabili di tutto il resto, di tutto l′orrore che i media travasano quotidianamente nella nostra coscienza. Ma anche in questo caso rimane nondimeno una zona d′ombra, un′ipocrisia autoassolutoria, che non potrà mai comunque eliminare il fatto che siamo pur sempre, anche se indirettamente, coinvolti.
40) Di nuovo, anche riguardo all′argomento testé considerato, siamo ancora una volta nel paradosso, nell′impossibilità di fare qualcosa in favore di situazioni la cui drammaticità ci viene riversata addosso quotidianamente, a ogni ora del giorno e della notte. E dal momento che il paradosso non ha una soluzione, la sensazione è quella di essere invischiati in un gigantesco double bind, in cui qualsiasi cosa fai sbagli (se fai qualcosa, non serve a niente = sensazione di impotenza; se non fai niente e te ne lavi le mani, sei apatico e indifferente = sensazione di insensibilità e di mancanza di empatia); il risultato è: ansia, ansia, sempre più ansia. Però...che il paradosso non abbia una soluzione possibile, è falso; molti paradossi apparentemente senza soluzione, sono stati risolti. In generale, il segreto per risolvere i paradossi è cambiare la domanda alla base. Invece di cercare di trovare una risposta che soddisfi entrambe le richieste tra loro contraddittorie, è necessario spostare l′attenzione sulla domanda stessa. In altre parole, bisogna riformulare la sfida in modo da rendere possibile la coesistenza delle richieste apparentemente contrapposte. Il che implica un cambio di prospettiva.
41) Nel caso in questione, quello oggetto del punto 38, il cambio di prospettiva potrebbe dare esito felice se esso riguardasse il paradosso come figura retorica, in tal caso sarebbe più precisamente un′antinomia. La situazione descritta nel punto 38 rimanda invece a un dilemma tra due atteggiamenti, tra due scelte esistenziali, non tra due argomenti o due proposizioni, siamo nell′ambito del fare, non del dire, siamo nel mondo reale, non nel mondo delle idee. A questo proposito, è inevitabile il riferimento alla massima spinoziana: "Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum". Nessuna ambizione, in tale contesto, di approfondire il tema, ampiamente dibattuto nella storia della filosofia, del rapporto tra i summenzionati argomenti, quanto invece la preoccupazione di esaminare la funzione del paradosso sub specie idearum e sub specie rerum. Nel primo caso il paradosso è una figura retorica, la sua natura è logico-linguistica, come il famoso paradosso del mentitore (′Questa affermazione è falsa′) o l′altrettanto celebre ′Credo quia absurdum′, risalente a Tertulliano oppure il paradosso di Zenone, quello di ′Achille e la tartaruga′. Nel secondo caso invece, quello sub specie rerum, il paradosso non rimanda a una contraddizione logica, ma a un coinvolgimento personale, a una decisione esistenziale, esemplificata nel noto apologo, risalente al filosofo medievale Giovanni Buridano, chiamato appunto il paradosso dell′′asino di Buridano′. Qui siamo nell′ambito dell′indecidibile, dell′impossibilità a scegliere; sta di fatto che il destino dell′asino, incapace di decidersi tra due mucchi di fieno perfettamente uguali, è di morire di fame. Ma nella realtà non è possibile non scegliere, perchè anche questa eventualità ha a che vedere con una decisione, quindi con una scelta: quella di non scegliere.
42) La circostanza riguardante la zona d′ombra di un coinvolgimento indiretto, ma pur sempre reale, mascherato come ipocrisia autoassolutoria, cui si accennava alla fine del punto 39, è destinata dunque a rimanere una questione indecidibile! Dal punto di vista pratico/concreto, non da un punto di vista logico/formale, un problema indecidibile (come quello proposto nell′apologo dell′asino di Buridano) sembra non avere soluzione. Nel senso che rimanda a una situazione senza uscita, a un circolo vizioso! L′ammissione della indecidibilità tra scelte contrapposte può inoltre diventare un alibi per giustificare un atteggiamento apatico e inerte, antitetico rispetto alla prospettiva, delineata nel punto 29, del libero arbitrio, inteso come facoltà di poter scegliere in ogni situazione e in ogni caso. L′indecidibilità rimane tale però solo finchè rimane confinata nello spazio astratto della logica. A livello di realtà, a proposito dell′esempio di Buridano, l′asino avrebbe potuto decidersi verso uno dei due mucchi di fieno, facendo prevalere il bisogno di nutrirsi, rispetto al giudizio intellettuale relativo all′equivalenza tra i due mucchi e bypassando in tal modo, attraverso una scelta appunto, l′impasse.