Dott. Roberto Barbiani
Ricerca libera
26-10-2024

#11


100) L′antinomia di cui sopra può avere una soluzione? La risposta avrebbe esito positivo, a patto di affrontare e risolvere lo stato di alterazione emotiva e cognitiva con strumenti diversi da quelli utilizzati nel caso in questione (la concentrazione sul respiro, cioè la ′mindfulness′). Ancora una volta il metodo della ristrutturazione cognitiva - attraverso la riflessione, il pensiero, la messa in discussione, il porsi domande pertinenti, l′interrogazione (di ansie, paure, preoccupazioni, tormenti mentali), cioè tutto l′insieme di proposte avanzate finora - potrebbe costituire una credibile soluzione all′antinomia. Il fatto è che la concentrazione sul respiro richiede appunto concentrazione, che significa capacità di attenzione e di rielaborazione, così come l′esposizione enterocettiva esige la capacità di mettere a confronto sensazioni negative personalmente vissute e stimoli indotti artificialmente, cioè, anche in questo caso, capacità di riflessione, di attenzione, di rielaborazione personale. In entrambi i casi il fine da raggiungere viene cercato attraverso un mezzo, che per diventare operativo richiede proprio quel fine, per conseguire il quale è stato predisposto. Non si tratta di sminuire il somatico in favore del mentale: il disagio psicologico trova espressione nel somatico, allo stesso modo in cui il malessere somatico si ripercuote sul mentale. Questo è il punto sul quale Alexander Lowen ha fondato la ′bioenergetica′, rifacendosi a Wilhelm Reich.

101) Per Lowen il Sé corporeo si forma a partire da tre esperienze fondamentali: la consapevolezza di sé, la capacità di esprimersi, la padronanza di sé. L′insieme di questi elementi: consapevolezza, autoespressione e padronanza, costituisce il collegamento attraverso il quale il Sé corporeo si relaziona con il mondo esterno. Quando il legame è percepito positivamente, sono favoriti i movimenti di espansione, quando è percepito negativamente prevalgono i movimenti di ritiro. In bioenergetica la consapevolezza di sé equivale alla consapevolezza corporea, il cui sviluppo contribuisce alla conoscenza delle emozioni che proviamo. É importante distinguerla dalla narrazione, dalla storia che il soggetto riferisce di sé stesso, la quale può contenere numerose distorsioni cognitive e che rimanda in ogni caso alla coerenza del racconto biografico. Secondo Lowen la verbalizzazione degli stati interocettivi contribuisce alla consapevolezza della propria esperienza emozionale soggettiva. Ciascuno di noi è un processo creativo, duplicativo, trasformativo e generativo di energia, che si manifesta di volta in volta come desiderio, emozione, immagine, simbolo, gesto. L′importanza della scarica emozionale e dell′espressione emotiva è centrale nelle psicoterapie esperienziali, come la bioenergetica, proprio perché non rinvia soltanto a una esperienza narrativa, ma rimanda anche all′espressione corporea. Il punto centrale è l′idea, espressa ripetutamente da Lowen, che l′inibizione dell′espressione emotiva porta ad una perdita di sensibilità e di vitalità e quindi comporta anche una successiva perdita di consapevolezza. É fondamentale nella bioenergetica l′effetto di padronanza relativo all′espressione dei vissuti emotivi, alla base della quale c′è, inevitabilmente, la consapevolezza. Se non sentiamo le nostre emozioni, non possiamo nemmeno esprimerle. In questo senso l′impiego corretto delle parole ha a che vedere con la consapevolezza dell′esatta corrispondenza tra parole (o frasi) e sensazioni, fra idee e sentimenti; concerne, cioè, una funzione energetica, che in quanto tale è una funzione della coscienza, la quale a sua volta esprime il sentimento delle emozioni. Quando le parole sono connesse o combaciano con le sensazioni; quando la persona riesce a ′trovare le parole per dirlo′, il flusso energetico che ne risulta fa aumentare lo stato di eccitazione della mente e del corpo, elevando il livello di coscienza e migliorando la messa a fuoco. Per Lowen la padronanza di Sé costituisce l′elemento essenziale del Sé corporeo ed è uno degli aspetti chiave della sua teoria sulla regolazione delle emozioni. Si forma come esperienza propriocettiva, per il fatto che riusciamo a percepire, distinguere e nominare emozioni anche intense, senza farci travolgere. Si può quindi dedurre che la padronanza di sé è in relazione alla capacità dell′Io di dare un significato alle proprie risposte emotive, mantenendo un senso di integrità. Una vera capacità espressiva deve necessariamente, secondo Lowen, basarsi sulla consapevolezza e sulla padronanza. Nessuna emozione, quando trascende la nostra padronanza, è salutare. Anzi, se perdiamo la padronanza, inevitabilmente, perdiamo anche la consapevolezza. Una persona è in grado di sostenere la carica eccitatoria delle proprie emozioni perché è capace di padronanza, senza necessariamente attivare modalità di controllo. Questa carica eccitatoria fornisce nutrimento alla vitalità e stabilizza l′umore. Meno la persona è padrona di sé stessa, meno potrà tollerare la pressione, l′eccitazione, le cariche che provengono da certe situazioni della vita e più limiterà di conseguenza le proprie scelte, con conseguente abbassamento dell′intensità della propria energia vitale generale.

102) La ristrutturazione cognitiva, ibridata dalla bioenergetica, potrebbe risolvere l′antinomia di cui sopra, attraverso un percorso terapeutico impostato sull′interconnessione tra psichico e somatico. Se infatti la consapevolezza e la padronanza dei propri stati emotivi comporta, secondo l′insegnamento di Lowen, la loro espressione, intesa come capacità di manifestarli, non ci potrà essere, a livello terapeutico, un prima e un dopo, un′oscillazione tra il somatico e il mentale e meno che mai una prevalenza di uno sull′altro. In effetti, operando un confronto, che non vuole essere blasfemo, il lavoro terapeutico dovrebbe testimoniare la sacralità delle parole contenute nel Vangelo di Giovanni: "il verbo (la parola) si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi ". La potenza della metafora evangelica - nell′evocare l′unione dell′umano ("si fece carne") con il divino ("il Verbo") - è straordinaria ed è in analogia con il lavoro terapeutico, consistente nell′agire attraverso la parola, ma non solo, sul sistema mente/corpo del paziente; un agire finalizzato alla riattivazione della padronanza sulle proprie emozioni. Nessuna intenzione di confondere il sacro con il profano, solo la profonda ammirazione verso le parole di Giovanni e la loro forza performativa, che sintetizza così efficacemente la forza performativa del confronto terapeutico!

103) Dal punto di vista semantico la distinzione tra padronanza e controllo può sembrare insignificante; nella prospettiva qui adottata, come anche secondo la logica della bioenergetica, è invece cruciale. Oltre al significato di capacità di controllo, e quindi di dominio su sé stessi (con effetti repressivi, di costrizione), la padronanza possiede anche il significato di competenza, di conoscenza perfetta di un argomento o di una disciplina (in tal caso il senso espresso è di autorevolezza e di prestigio). La differenza tra il significato letterale e quello figurato è notevole! Soprattutto quando il campo di applicazione sono le emozioni, le ansie, le paure, i pensieri intrusivi: a questo livello la padronanza ha un effetto completamente diverso dal controllo, che, nei casi limite, diventa ossessivo. Da una parte, il controllo corre il rischio di sfociare in una condizione psicologica contrassegnata da atteggiamenti maniacali; dall′altra, la padronanza evidenzia un atteggiamento non di dominio e di costrizione su una parte di sé, come si verifica nel caso del controllo, bensì di accettazione senza riserve del sé nella sua integrità e quindi di complicità con sé stessi. Il che si traduce, beninteso, non in accettazione senza riserve degli aspetti problematici del proprio vissuto (quelli che provocano malessere), ma nella loro messa in discussione, proprio perché c′è stata la loro preliminare accettazione incondizionata.

104) Nostalgia dell′altrove, di un altro posto, di altra gente; forse anche desiderio di un altro tempo, soprattutto nostalgia di un altro luogo: desiderio di eutopia, etimologicamente parlando, di un posto buono in cui vivere, di belle persone! Certamente desiderio utopico, l′eutopia, ma non impossibile da trovare; il posto buono, l′altrove esiste sicuramente, da qualche parte, non (solo) nelle fantasie, in una realtà certamente sognata, ma non per questo illusoria; siamo ′macchine desideranti′ (Deleuze), cerchiamo l′altrove, nuovi scenari, pur reclamando continuamente sicurezza e stabilità! Bisogna cercarlo questo altrove, mai smettere di cercare; interpretare i segni, decodificare i segnali, riconoscere i sintomi, diventare un esperto semiologo! Altrimenti, l′alternativa alla ricerca dell′eutopia rimane l′adattamento, sempre più faticoso e avvilente, l′accettazione del sempre uguale, la rinuncia alla speranza, fino alla sarcastica e sconsolata esortazione di Samuel Beckett "Hai mai provato? Hai mai fallito? Non importa. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio". L′aspetto paradossale di questa situazione è che la rinuncia alla ricerca di quell′altrove eutopico viene compensata con un diffuso turnover di partner affettivi o/e sessuali, come se il posto buono in cui poter vivere fosse sempre e solo circoscritto/delimitato nel perimetro delle relazioni, regolari o trasgressive, palcoscenico inalterabile del nostro vissuto presente, passato e futuro. In altre parole, per concludere a mo′ di slogan, piuttosto che fantasticare ucronie, sempre meglio cercare eutopie!

105) Il punto 20 forniva informazioni intorno all′intuizione, come forma di conoscenza immediata e diretta di un′evidenza, in contrapposizione alla conoscenza logica e discorsiva, basata sulla riflessione e sull′argomentazione. Pur considerando che la contrapposizione è solo formale, dal momento che ogni processo cognitivo evidenzia la combinazione di entrambe, può essere interessante sottolineare le differenze tra loro. Prendendo a prestito la terminologia della fisica atomica, quando parla di fusione a caldo e di fusione a freddo, è possibile attribuire metaforicamente alla mente intuitiva e alla mente logica le caratteristiche caldo e freddo, nel senso che la mente intuitiva è una mente interessata ed emotivamente partecipe del processo cognitivo in oggetto (è cioè calda), mentre la mente logica è concentrata soprattutto sulla coerenza e sul rigore delle argomentazioni (in questo caso fredda). La prima è attenta ai segni, ai segnali, a ogni indizio in grado di gettar luce sulla situazione oggetto di interesse e di palesare la sua natura profonda, il suo possibile svolgimento. Esempio lampante di questo atteggiamento è la capacità intuitiva della persona innamorata, come anche del giocatore di poker. Da questo punto di vista, si può affermare, senza paura di essere smentiti, che l′intuizione della mente innamorata è pressoché infallibile, proprio perché del tutto concentrata sul suo specifico oggetto di interesse, che sia una persona oppure il gioco, nel caso del pokerista. Per la seconda, per la mente logica, l′oggetto di interesse è l′argomentazione, la concatenazione logica, la coerenza delle dimostrazioni, la veridicità dei contenuti. La mente logica è autoreferenziale e spesso tautologica; la mente intuitiva viceversa è eterocentrata, proiettata sul mondo. La verità cui giunge la mente intuitiva ha a che vedere con una particolare situazione di vita, la verità cui aspira la mente logica riguarda la struttura e l′organizzazione concettuale di un determinato ragionamento o pensiero.

106) É possibile liberarsi definitivamente del legame di attaccamento e delle modalità emotive e affettive con cui viene vissuto? Oppure la caratteristica strutturale della mente umana è di proiettare su tutto l′insieme di situazioni, che hanno a che vedere con l′affettività, con la ricerca della sicurezza e con l′espressione dell′identità, la medesima intensità passionale riversata sulla figura primaria? E il transfert psicologico sulle successive figure investite dalla proiezione sarà ineluttabilmente caratterizzato dalle medesime variabili, proprie del legame d′attaccamento primario, e cioè lo stile sicuro, evitante, ansioso e disorganizzato? Le domande in questione interrogano la possibilità o meno di rimanere rigidamente vincolati ( dal punto di vista affettivo) a un passato, il cui destino è di venir riprodotto quasi automaticamente in modalità pressoché identiche oppure di verificare l′eventualità di una deviazione, di un clinamen, di un′apertura a espressioni emotive e affettive nuove, difformi rispetto al modello primario. In effetti il legame di attaccamento, nella versione rappresentata dallo stile sicuro, garantisce appunto sicurezza, riconoscimento e quindi un identità strutturata, non precaria; e di che cosa sono perennemente alla ricerca gli esseri umani, non solo nella parte occidentale del mondo, se non di riconoscimento e di sicurezza, contrassegni che confermano appunto quello che sono, cioè la loro identità? É fuori discussione che le esperienze emotive e affettive successive, così come anche un efficace percorso psicoterapeutico, possono modificare o addirittura invertire gli schemi originari, soprattutto nella versione rappresentata dagli stili evitante, ansioso, disorganizzato; sembra altrettanto evidente però che il potere di attrazione dei modelli emotivi e affettivi precoci sugli schemi successivi sia profondo, quasi a confermare la locuzione latina ′natura non facit saltus′.

107) La risposta alle domande nel punto precedente è rimasta inevasa! La ricerca della conferma, del riconoscimento, della sicurezza rimangono comunque aspirazioni universali, che solo un attaccamento sicuro può garantire e che ciascuno proietta sui legami successivi, alla ricerca di stabilità psicologica e di equilibrio emotivo. La logica sottesa sembra quella rappresentata dall′equivalenza tra ciò che hai ricevuto e ciò che puoi dare, che puoi offrire, non solo agli altri, anche a te stesso, di te stesso. Nel senso che, più hai ricevuto, quanto ad attenzioni, affetto, cure e amore, più sarai in grado non solo di dare, di offrire negli stessi termini, ma anche di riprodurre, di far uscire da te stesso, a livello di fiducia, aspettative, affidabilità. L′equilibrio tra il dare e avere, nel passaggio dagli stili di attaccamento della prima infanzia ai successivi, non è però calibrato e garantito in modalità automatica una volta per tutte; intervengono diversi fattori - caratteriali, ambientali, culturali, emotivi, affettivi, casuali, contestuali, ecc. - che possono alterare la tendenza e la direzione di un vissuto edificato, ad esempio, su un attaccamento sicuro e orientarlo verso la sofferenza o il tormento. In ogni caso, ogni volta che una relazione profonda si stabilisce, ogni volta che si forma una coppia, fa la sua comparsa il legame di attaccamento (con i suoi corollari rappresentati da conferma, riconoscimento, sicurezza); anche le persone che cambiano, di frequente o meno, il proprio partner, sono comunque alla ricerca di nuove figure di attaccamento; non è certo la centralità del legame in quanto tale che viene messa in discussione. Sembra quindi, così per rispondere alle domande del punto precedente, che non esista alternativa al legame di attaccamento, riguardo alla formazione e alla successiva organizzazione della personalità.

108) Rimane un ulteriore dubbio: come si concilia la costruzione di una personalità, universalmente organizzata attorno al bisogno di sicurezza, di conferme e di riconoscimento - caratteristiche garantite appunto dal legame di attaccamento - con la visione buddista della vacuità, del distacco, del non attaccamento, proposta in questi punti (specialmente al 21 e al 22), come rimedio e cura dell′ansia e della sofferenza psicologica? Siamo di nuovo, ancora una volta, nel campo del paradosso? Dell′indecidibile? La questione è cruciale; sussistono parecchie differenze, quanto a forma mentis, tra Oriente e Occidente, tra lo spirito della mancanza e quello della pienezza; anche riguardo al succitato aspetto la distanza è incolmabile! Antropologie irriducibili, storie divergenti, finalità inconciliabili: se questo è lo stato delle cose, la proposta, avanzata nei punti precedenti, della vacuità, del distacco, del non attaccamento come rimedio all′ansia è destinata a rimanere una pia intenzione? No, a patto di considerare i princìpi dell′insegnamento buddista, nello spirito del presente ′divertissement′, non come precetti validi per l′organizzazione di un particolare stile di vita (non è questo l′interesse primario della presente indagine), ma come modelli formativi, funzionali a orientare l′atteggiamento terapeutico (nel senso della cura di sé) nei momenti di disagio psicologico e nelle situazioni problematiche della vita. Modelli formativi, oggetto dunque di dedizione e di apprendimento, come può esserlo l′imparare una lingua sconosciuta, la cui assimilazione passa attraverso lo studio assiduo e l′assorbimento paziente e metodico.