117) Dal momento che oramai l′universale diffusione di ansia, stress e patologie varie ha a che vedere con il vissuto sociale piuttosto che con quello famigliare, questa situazione comporta che i politici - coloro dalle cui scelte dipende l′organizzazione della società - debbano sostituire psicologi e psichiatri? O invece che la politica debba ispirarsi al pensiero filosofico e psicologico? O piuttosto, come aveva prefigurato Platone nella Repubblica, che siano i filosofi a governare la cosa pubblica? A questo proposito, nell′epoca dei viaggi spaziali e del dominio del mondo da parte dell′Intelligenza Artificiale, a che cosa ci si riferisce quando si parla di ′cosa pubblica′, di Stato, di ′polis′ o di Nazione? Sembra evidente che sono concetti diventati obsoleti, senza più alcun riferimento a una realtà mutata, che si appresta a tagliare definitivamente il cordone ombelicale con ciò che resta dell′umano, a favore di un universo modulato, plasmato e pianificato dalla tecnica. La cui potenza procede a una velocità tale da surclassare il ritmo del modello di storia umana come l′abbiamo conosciuta finora. L′ibridazione tra l′I. A. e l′umano potrà diventare un progetto realizzabile solo a partire dalla circostanza in cui l′umano non costituirà più una zavorra, un impedimento allo sviluppo delle potenzialità della tecnica; da quel momento in poi la storia avrà come protagonisti degli esseri che, dell′umano come noi lo conosciamo, non avranno conservato alcuna traccia. Possiamo avere però un motivo di consolazione e di orgoglio: l′uomo/macchina (cfr. La Mettrie, 1747) non potrà mai gustare un buon vino o un piatto succulento o godere di un rapporto sessuale o estasiarsi davanti a un paesaggio! L′uomo/macchina può anche essere dotato dei cinque sensi, ma non proverà mai il piacere del gusto, del tatto, dell′odorato, della vista, dell′olfatto! Il piacere legato ai sensi, storicamente educato e raffinato nel corso dei secoli, il piacere erotico, estetico, la meraviglia, sono tutte dimensioni precluse alla tecnica, proprie dell′essere umano in quanto tale, non ibridato, che contribuiscono a dare senso alla vita! Possiamo rischiare di perderle?
118) No, non possiamo rinunciare al piacere in nome della potenza, anche se tecnologicamente aumentata; d′altra parte però risulta illusorio confidare in una semplice coesistenza tra loro, preservando intatta la qualità sensibile di tutto ciò che può essere collegato al piacere dei sensi, come dimostra il suo progressivo e storicamente avvenuto deterioramento. E non è nemmeno proponibile coltivare la vana speranza di un ritorno al passato pretecnologico, a un mondo nel quale i sapori e gli odori conservavano intatta la loro fragranza, il gusto non era ancora alterato e i sensi interagivano con una natura incontaminata. Esclusa a priori la rassegnazione propria dei laudatores temporis actis, non rimane che prendere atto dell′obsolescenza del piacere legato ai sensi e conferire al mentale quella voluttà, ricercata in precedenza attraverso il corpo sensibile, Questa soluzione rappresenta un cedimento al tecnologico, alla sua algida potenza? Con ogni evidenza, sì...allo stesso modo in cui il passaggio dal Neanderthal all′uomo civilizzato ha costituito un enorme vantaggio da un certo punto di vista, ma anche una irreparabile perdita da un altro! I sensi dell′uomo primitivo dovevano sicuramente essere molto più ricettivi e potenziati, se non altro per una questione di sopravvivenza, rispetto a quelli dell′uomo civilizzato; il cui dominio, dall′arco e frecce alla bomba al neutrone, ha sempre poggiato sul predominio tecnologico, risultato di un′applicazione strumentale delle conoscenze e dell′intelligenza, cioè del mentale.
119) É però avvilente e sconfortante rinunciare al piacere dei sensi, sapendo che oramai ChatGpt sa dare risposte esaurienti a ogni tipo di domanda e che l′I.A. può sostituire l′uomo in tutto e per tutto, al di fuori della dimensione, che ha a che vedere con il corpo e che riguarda appunto il piacere dei sensi! Perché il punto in questione, relativamente all′estensione dell′I.A. su scala globale e all′ibridazione uomo/macchina, non riguarda soltanto il dubbio se la suddetta estensione possa mettere a repentaglio la libertà di prendere decisioni, eventualmente anche sbagliate, - quanto la possibilità o meno che il corpo umano continui a sentire, a emozionarsi attraverso l′interazione con il mondo interno ed esterno; sentire non soltanto nel significato di ricevere e scambiare informazioni, quanto piuttosto nel senso di provare piacere attraverso questa attività. Non è lontano dal vero ipotizzare che Il feticismo del pensare, del mentale a scapito del sentire, del corporeo, che il dominio della tecnica ha inverosimilmente esaltato, costituisca uno dei più probabili fattori di diffusione generalizzata dell′ansia. Perché il corpo, in virtù del sentire, parla attraverso le emozioni, quelle positive, come quelle negative: la loro imbracatura, grazie alla logica spietata della tecnica, produce gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti: ansia, stress, malessere, patologie.
120) Nel conversare quotidiano capita spesso di esprimere, riguardo alle persone, giudizi e valutazioni che ne esaltano un aspetto particolare, il quale non solo diventa l′unico indicatore per definirle, ma espropria di fatto tutti gli altri aspetti della loro personalità, costituendosi in tal modo come esclusivo elemento di caratterizzazione, al quale riferirci mentalmente nella comunicazione con loro. Questo succede ogni volta che valutiamo una persona o un oggetto, generalizzando l′intera percezione che abbiamo di loro, in base a un solo attributo, positivo o negativo (per es. è una persona ′intelligente′, ′antipatica′) e relazionandoci con quella persona in base a quell′attributo. Questo atteggiamento, consistente nel privilegiare la parte per il tutto, rimanda a una figura retorica chiamata sineddoche (per es. tetto al posto di casa o vela al posto di nave) ed è stato studiato sia in ambito psico-sociologico che nella pubblicità e nel marketing. Uno psicologo americano, Edward Thorndike, aveva definito il fenomeno in questione effetto alone e lo aveva osservato in diversi contesti: nelle relazioni interpersonali, nel mondo del lavoro, nel marketing, nella pubblicità. Il potere dell′influenza sociale, dovuto alla percezione selettiva (pars pro toto), ha un impatto significativo sulle dinamiche psicologiche che riguardano scelte e decisioni, sia a livello interpersonale, che sul piano della selezione dei beni di consumo. Ad esempio, se una persona ha un aspetto fisico attraente, potremmo essere automaticamente portati a supporre che abbia altre qualità positive, ad esempio l′intelligenza, la simpatia o l′affidabilità; in tal modo, in sede di esame o di colloquio di lavoro, potrebbe ottenere risultati più lusinghieri, rispetto a persone con pari capacità, ma meno avvenenti. Medesima cosa per quanto riguarda le caratteristiche socio-economiche: la ricchezza e la classe sociale includono automaticamente una generalizzazione che esalta le altre caratteristiche della persona e che la pone, in un ambiente sociale in cui la ricchezza rappresenta un valore importante, al di sopra dei meno abbienti. Allo stesso modo, se un oggetto o un marchio sono associati a uno spot pubblicitario o a una testimonianza positiva, potremmo essere portati a credere che i prodotti proposti siano di alta qualità (Henry Ford: ′La pubblicità è l′anima del commercio′). La conclusione da trarre è quindi che la nostra conoscenza degli altri è assolutamente condizionata da aspetti del tutto parziali e che la mente si lascia facilmente suggestionare da caratteristiche superficiali, tendenziose, spesso finalizzate a interessi mirati?
121) Fondamentalmente sì, questa è la risposta alla domanda del punto precedente, anche perché c′è una spiegazione neurologica al fenomeno in questione: il cervello umano, non avendo il tempo necessario per valutare ogni attributo in modo dettagliato, tende a semplificare il processo decisionale, utilizzando scorciatoie cognitive per elaborare le informazioni in modo più rapido ed efficiente, basandosi così su un singolo tratto o su una caratteristica saliente, per trarre conclusioni generali. Il suddetto atteggiamento da origine però a dei bias cognitivi, a causa della assoluta arbitrarietà del procedimento mentale ad esso sotteso: da una parte viene affibbiata ad una determinata persona un′etichetta, che ne evidenzia un particolare aspetto, con l′esclusione di tutti gli altri; dall′altra, per collegamento metonimico, a quell′unica caratteristica ne vengono associate altre di analoga intensità, positive o negative, a seconda della peculiarità della caratteristica in questione. Il risultato finale è una distorsione cognitiva obbiettivamente inaccettabile, che può indurre giudizi ingannevoli o stereotipati, creando pregiudizi e discriminazione. L′effetto alone si palesa dunque come spia della difficoltà della mente di raggiungere livelli attendibili di obbiettività e come conferma della sua tendenza a rimanere invischiata nella parzialità di impressioni, giudizi e valutazioni personali.
122) Sembra quindi che la mente umana, a causa del suo specifico modus operandi, non sia in grado di offrire solide garanzie riguardo alla possibilità della persona di diventare il ′metro di sé stesso′, nel senso di imparare a valutare e a valutarsi in modo autonomo, senza dipendere dai giudizi e dagli standard altrui. É un processo che per giungere a compimento richiede particolari doti caratteriali e l′acquisizione di specifiche strategie mentali: consapevolezza di sé e auto-osservazione; resilienza emotiva e autostima; attitudine a porsi obbiettivi e standard personali; capacità di autocritica. Tutti propositi che esigono un insieme di competenze di non facile acquisizione: saper gestire il confronto con gli altri, stabilire linee guida in base a valori e priorità, accettare le imperfezioni, imparare dagli errori e dai fallimenti, distacco emotivo, non sentirsi condizionati dal bisogno di conferme e di approvazione. In considerazione quindi della particolare predisposizione della mente umana, passate al vaglio nei punti 119 e 120, il conseguimento delle suddette competenze non può limitarsi alla crescita personale o a un diligente lavoro di autopotenziamento. Il progetto di diventare il ′metro di sé stesso′ potrebbe passare sia dal confronto costruttivo con persone di riferimento, sia soprattutto dal rapporto autentico con una figura particolare, in possesso di un sapere e di una personalità tale, da potersi proporre in qualità di ′maestro′. Non nel senso agostiniano, secondo il quale il vero maestro è soltanto quello interiore (Cristo/il Logos), ma nel senso socratico, attraverso cioè la maieutica, l′arte dell′ostetricia, capace di far nascere la verità direttamente dall′anima dell′interlocutore, non mediante la trasmissione pedagogica di conoscenze, ma attraverso il metodo dialettico di porre domande opportunamente mirate.
123) Con la maieutica socratica siamo alla chiusura del cerchio di questo ′divertissement′ terapeutico: il metodo socratico, infatti, orientato a mettere in discussione le certezze e a far emergere i pensieri più autentici, costituisce uno stimolo potente a riflettere su sé stessi, sulle proprie risorse, a scavare sotto la superficie, innescando un processo virtuoso di crescita e di apprendimento. In questo senso la maieutica, fecondata dai molteplici saperi di matrice psicologico/psichiatrica a partire da Freud fino al DSM-V, mantiene intatta la sua attualità, nonostante la distanza temporale in cui è stata concepita. Il suo nucleo originario, consistente nel disvelamento delle conoscenze e dei pensieri del discepolo, di cui lui non è consapevole, attraverso domande volutamente predisposte dal maestro per stimolare un percorso di riflessione, ha un′analogia col lavoro terapeutico. Dal momento che è assodato l′aspetto terapeutico della maieutica, che cosa ha di maieutico la psicoterapia? Il metodo socratico consisteva nel porre domande, in modo tale da indurre l′interlocutore a trovare autonomamente la verità. La psicoterapia cognitiva ha una corrispondenza, nei suoi presupposti generali, con l′approccio socratico, a patto di intendere per verità quella soggettiva e non quella ontologica. L′obiettivo consiste nell′aiutare il paziente a diventare consapevole delle proprie strutture di conoscenza, per lo più automatiche ed inconsce e delle relazioni intercorrenti fra esse. L′analisi è condotta mediante un processo prevalentemente inferenziale, inducendo il paziente ad osservarsi, assumendo il punto di vista di un osservatore esterno. Nel condurre questo lavoro è necessario che il terapeuta metta da parte i principi generali di una logica astrattamente razionale, per immedesimarsi nella logica del paziente, limitandosi cioé ad accompagnarlo durante il processo di ricostruzione interna. Assumendo provvisoriamente come valida qualsiasi sua asserzione e gli assunti via via identificati, il terapeuta lo aiuta a verificarne la coerenza interna (la non contraddittorietà rispetto ad altre parti del suo sistema di conoscenza) e, di fronte all′emergere di eventuali incoerenze, lo stimola a ricostruirne un possibile significato. Presupposto base di questo lavoro è che, nel suo complesso, qualsiasi sistema conoscitivo presenta una propria coerenza; le contraddizioni che emergono, persino le patologie che lo compromettono, risultano sempre interpretabili e risolvibili, quando si colgano i principi sovraordinati che garantiscono la conformità complessiva dell′intero sistema. Di fronte ad un′incoerenza o a un sintomo, quindi, il terapeuta evita di schierarsi per una delle alternative presentate (ad esempio quella più strutturata); sottolinea invece come qualsiasi convinzione, qualsiasi schema apparentemente irrazionale o addirittura patologico, se presente nel sistema, ha necessariamente una sua ragion d′essere, é finalizzato all′equilibrio omeostatico, risulta cioè funzionale a qualche obiettivo personale, anche se non manifesto. E invece di indurre il paziente a combattere le sue costruzioni irrazionali o patologiche, il terapeuta lo stimola a comprenderne gli scopi, per renderlo consapevole dei desideri e dei bisogni affettivi ad essi sottesi. Siamo sempre e ancora dalle parti, dopo più di 2400 anni, del socratico ′conosci te stesso′, che costituisce la ragion d′essere e la funzione della terapia in quanto tale!
124) Dal ′conosci te stesso′, all′ ′ama il prossimo tuo come te stesso′, fino al kantiano ′agisci in modo da trattare sempre l′umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come un fine e mai come un mezzo′: dei tre imperativi morali, il secondo e il terzo rappresentano pie intenzioni, non tanto concrete possibilità, nel senso che sembrano disconoscere la realtà della natura umana, come si è storicamente espressa e manifestata nel corso dei secoli. Il socratico ′conosci te stesso′ appare invece un proponimento percorribile e sempre attuale, necessario nella gestione delle diverse e spesso drammatiche situazioni della vita, responsabili di ansie e inquietudini, concentrate soprattutto nelle relazioni e nel confronto - il più delle volte problematico e tormentato - con gli altri. Proponimento mai concluso, impostato sul cercare più che sul trovare, perché ha a che vedere con un materiale in continua evoluzione e cambiamento, sia per quanto riguarda l′identità personale, che l′ambiente e il contesto in cui essa si forma e interagisce. Conoscere il proprio vissuto significa fare esperienza consapevole di sé stessi e del complesso universo di relazioni nel quale la nostra identità si costruisce ed evolve, dal vissuto famigliare ai successivi contesti di vita. L′esperienza consapevole è un′attività complessa, immune da giudizio, ′multitasking′: impostata cioè su un impegno e su una pratica costante di autoriflessione e di introspezione (ascolto attivo dei propri bisogni, riconoscimento delle proprie emozioni, consapevolezza dei propri schemi mentali, compresi pensieri automatici e credenze personali); e contemporaneamente predisposta ad un atteggiamento attento ai medesimi parametri, incentrato sull′ambiente di riferimento e sulle persone emotivamente e affettivamente vicine. Questo lavoro può incontrare ostacoli e problemi di varia natura, che possono dare origine ad ansie, stress, disordini mentali. In questo caso risulta essenziale il ricorso a uno spazio di consulenza e di feedback professionale, in grado di assicurare un background emotivamente sicuro, idoneo a esplorare pensieri e sentimenti profondi, attraverso un confronto efficace, capace di garantire la gestione del malessere e lo sviluppo personale.
125) Ciascuno di noi ha a che fare mentalmente, ma non sempre consapevolmente, con uno schema di equità, inerente alla reciprocità del dare-e-avere, che lo guida e lo condiziona nel rapporto con sé stesso, con gli altri, con gli avvenimenti della vita. In questo senso, in base alla personale formula di computo esistenziale, ognuno tende a ricercare un giusto equilibrio, relativo al dare-e-avere, tra sé stesso e il mondo. A ben guardare, il giusto equilibrio ubbidisce a parametri del tutto personali, é quindi soggetto all′arbitrarietà, più che alla giustizia! Ciò non toglie però che sia radicato in profondità nella psiche e che abbia un′importanza cruciale nel condizionare il tono dell′umore; nel senso che il malessere psicologico spesso si misura, tra le altre cose, anche sulla consapevolezza che ′i conti non tornano′! Questi ′conti′ hanno a che vedere con una molteplicità di eventi e situazioni: possono riguardare la reciprocità del dare-e-avere a livello affettivo e sentimentale con il proprio partner; oppure la retribuzione economica tra persone che hanno qualifiche simili, ma guadagni differenti; oppure ancora il confronto stabilito tra la propria condizione esistenziale (in termini di successo professionale, vissuto famigliare, malattie, lutti, aspetto estetico, prestanza fisica, abilità varie, ecc.) e quella delle persone vicine a noi. In ogni caso, il ′senso della giustizia′ profondamente radicato in noi, ci può rendere soddisfatti o infelici a seconda appunto che il bilancio tra il dare e l′avere, rispetto ai vari parametri che rivestono importanza per noi, abbia un esito se non positivo, almeno in pareggio.
Un importante insegnamento emerge dalle precedenti riflessioni: questo atteggiamento comporta sempre un confronto con gli altri, un paragone tra noi e loro, che noi stabiliamo per verificare, soprattutto nelle situazioni contrassegnate negativamente, se i conti appunto tornano, perché non tornano e di chi è la responsabilità. Il problema, a proposito di questo computo esistenziale e del confronto col mondo che ne costituisce il presupposto, è che spesso - nei casi in cui ci sentiamo vittime di atteggiamenti o di circostanze ingiuste - insorgono disfunzioni psicologiche, come rimuginii, pensieri negativi, ruminazioni, che, se hanno una frequenza sistematica, possono sfociare in sintomi e patologie.