91) Sorge però un problema a questo proposito: non esistono due parti distinte del sé, una cosiddetta sana e una sotto la pressione dall′ansia; quest′ultima, quando è presente, controlla l′intero organismo, si appropria della mente nella sua totalità; per questo motivo è così difficile sbarazzarsene, per questa ragione il processo di affrancamento è generalmente lungo, complesso e non sempre definitivo. Non c′è quindi un confronto/scontro tra una parte cosiddetta sana e una in preda all′ansia; l′ansia monopolizza ogni energia mentale, accentra pensieri ed emozioni in un vortice di inquietudine, angoscia, paura; l′unica possibile cura per il soggetto ansioso consiste nel modificare radicalmente i parametri e le procedure del proprio modo di ragionare e di pensare. L′ansia infatti, in ultima analisi, è il risultato di una mente che macina e che rumina in continuazione pensieri negativi, nei quali empatizza e si identifica, con effetti variabili di destabilizzazione emotiva, di tormento psicologico e di malessere psicosomatico. La terapia dell′ansia ha a che fare dunque con il controllo dei propri processi mentali, con la padronanza dei pensieri che attraversano la mente; l′ansia è il condensato di stati d′animo, pensieri e immagini fuori controllo; il controllo assurge quindi a questione cruciale dell′equilibrio mentale.
92) Purtroppo, però, emerge la tendenza, soprattutto tra i giovani, a perdere il controllo, a lasciarsi andare, a liberarsi di divieti e inibizioni, perché il controllo richiede una fatica mentale considerevole, il controllo è concentrazione, implica un impegno, una tensione psicologica, uno sforzo. Tanto più che la vita sociale rimanda, di per sé stessa, a un complesso di regole che richiedono massimo controllo ed estrema concentrazione. É comprensibile il desiderio di trasgredire, di liberarsi del fardello, di evadere, anche attraverso sostanze (psicotrope, alcoliche, stupefacenti) che alterano la mente e promuovono la perdita del controllo! Questo lasciarsi andare, questo non trattenersi potrebbe addirittura essere tollerato, per non dire incoraggiato, da parte del sistema sociale, in quanto la perdita del controllo, soprattutto nella componente più giovane della popolazione, risulta funzionale all′esercizio indisturbato del potere politico. Quindi la risposta alla domanda nella parte finale del punto 85 - cioè: maggiore o minore controllo? - alla luce delle successive considerazioni, relative all′ansia e al trattamento dell′ansia, rimane, se non inevasa, come in sospensione, non definita, vincolata in ogni caso al contesto di riferimento e di comprensibilità. Di nuovo, come in un incantesimo senza fine, una situazione paradossale, indecidibile: la padronanza e il controllo dei pensieri che attraversano la mente è determinante nella lotta all′ansia; d′altra parte l′esercizio del controllo richiede una tensione e concentrazione tale che la mente fa di tutto per liberarsene.
93) É possibile parlare di questioni indecidibili, al di fuori del contesto logico-matematico e collegarle ad esempio al dilemma dello scegliere, come è stato esemplificato dal paradosso dell′asino di Buridano? Nei punti 41 e 42 si è già accennato all′argomento in esame, sul quale è il caso di tornare, per tentare un approfondimento. Negli stati e nelle condizioni di realtà, non nei contesti logico-formali, possono esistere situazioni perfettamente uguali - come i due mucchi di fieno nell′apologo dell′asino di Buridano - tali che l′equivalenza tra loro costituisca un ostacolo, se non una impossibilità, a scegliere, a optare per l′ una o per l′altra? Obbiettivamente la risposta è no: se anche ci trovassimo nella situazione di dover scegliere tra due alternative molto allettanti, come ad esempio tra due portate di un antipasto al ristorante o tra il trascorrere la serata al cinema o al bowling, potremmo sempre lanciare in aria la monetina e far decidere al caso oppure preferire con fermezza un′opzione piuttosto che un′altra. Niente di indecidibile, finché entrambe le opzioni hanno a che vedere con decisioni di cui il soggetto, e soltanto lui, è il responsabile. Diverso il caso in cui le alternative coinvolgono altre persone, la cui importanza per il soggetto in questione potrebbe porlo in una situazione di indecidibilità a scegliere. Rimanendo nell′ambito strettamente personale, ci sono parecchi criteri o fattori che possono premere a favore di una scelta piuttosto che di un′altra: ad esempio, a seconda delle differenti alternative, la convenienza, il risparmio, il bisogno, l′orgoglio, il valore morale, il senso del dovere, ecc. In ogni caso, è la situazione, il contesto a far propendere per una direzione piuttosto che per un′altra, anche nel caso in cui le alternative siano perfettamente uguali. E comunque è sempre necessaria una competenza, una determinazione, una motivazione a scegliere, a prendere decisioni; gioca, cioè, un ruolo essenziale la capacità di saper scegliere, unitamente alla consapevolezza che ogni decisione presa, qualsiasi opzione preferita a un′altra comporta una perdita, una privazione, una sottrazione, di ciò che non è stato scelto e a cui si è dovuto rinunciare. É la legge spietata dell′aut aut, non dell′et et, sulla quale Kierkegaard fondò la sua concezione anti-dialettica dell′esistenza, come scelta radicale fra i tre "stadi fondamentali della vita", quello estetico, quello etico e quello religioso, inconciliabili e irriducibili tra loro.
94) L′esposizione enterocettiva è una tecnica utilizzata principalmente nell′ambito della terapia cognitivo-comportamentale (CBT), per trattare i disturbi d′ansia e gli attacchi di panico. Ha una certa familiarità con la tecnica della ′prescrizione del sintomo′ portata avanti dalla terapia strategica. Il termine "enterocettiva" si riferisce a sensazioni interne del corpo, come battito cardiaco accelerato, sudorazione, vertigini, e altri sintomi fisici, che spesso accompagnano gli stati d ansia. Gli obiettivi dell′esposizione enterocettiva sono: la desensibilizzazione, consistente nel ridurre la sensibilità del paziente rispetto alle sensazioni corporee che teme e patisce; l′abituazione, cioè, permettere al paziente di abituarsi alle sensazioni interne, diminuendo la loro capacità di innescare panico o ansia; la ristrutturazione cognitiva, finalizzata ad aiutare il paziente a modificare le convinzioni disfunzionali, relative, in questo caso, alle sensazioni corporee. Tipicamente utilizzata, l′esposizione enterocettiva, per il trattamento del disturbo di panico, consiste nell′indurre, attraverso semplici esercizi, delle sensazioni fisiche simili a quelle sperimentate durante l′attacco di panico, quali ad esempio, l′iperventilazione, il senso di soffocamento o la tachicardia. In tal modo il paziente si abitua a confrontarsi con gli stimoli fisiologici che scatenano l′ansia. Attraverso specifici esercizi, di facile replicabilità, il terapeuta induce nel soggetto sensazioni corporee simili a quelle che si manifestano spontaneamente in caso di ansia, così il paziente impara gradualmente a non catastrofizzare i sintomi tanto temuti e a rispondere ad essi in modo più adeguato, trasformando le proprie reazioni (di solito molto esagerate rispetto al reale stato del vissuto personale) e le proprie aspettative (solitamente del tutto negative).
95) La ristrutturazione cognitiva - tra le diverse tecniche proprie non solo della terapia cognitivo-comportamentale, ma di ogni tipo di terapia, anche della psicanalisi - rimane indubbiamente lo scopo finale del lavoro terapeutico in quanto tale. Il senso e la giustificazione dei punti del presente lavoro consiste proprio nel produrre materiale utile ed efficace per raggiungere tale risultato, attraverso la modificazione dei pensieri e delle credenze disfunzionali, in favore di uno stile di pensiero e di ragionamento più funzionale e adattivo. In altre parole, pensieri e convinzioni all′insegna della flessibilità mentale al posto di schemi rigidi e bloccati. Le disfunzioni cognitive sono basate per lo più su ′pensieri automatici′, modalità involontarie di interpretare le esperienze, che si caratterizzano per il processo più che per il contenuto e che si attivano inconsciamente e meccanicamente. Sono pensieri e convinzioni radicati in profondità, che emergono attraverso processi mentali mai avallati da riflessioni o da ragionamenti, suggeriti da interessi occasionali o da convinzioni contingenti, spesso interiorizzati in modo irriflesso o per mimetismo. La funzione della terapia dovrebbe essere quella di aiutare il paziente a prendere consapevolezza dei suoi pensieri automatici, affinché possa interrogarli, sviscerarli, trovare il senso e la motivazione del loro riprodursi e in qualche misura neutralizzarli. É proprio spezzando l′automatismo psicologico di questi pensieri - sottraendolo all′inconsapevolezza e all′involontarietà, caratteristiche responsabili del loro radicamento e della loro apparente irriducibilità - che diventa possibile una ristrutturazione cognitiva efficace.
96) Pur concordando con l′insegnamento di Plutarco quando, a proposito dell′atteggiamento dei maestri del suo tempo, scriveva che "la mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere", rimane il fatto che la mente, considerata di per sé e non in ambito pedagogico, non sopporta il vuoto. Pensieri, immagini, ragionamenti, emozioni, desideri attraversano la mente in ogni momento, indipendentemente dalla consapevolezza o meno, come dimostra l′attività onirica. Anche la recitazione di preghiere e di rosari rappresenta o esemplifica il modo religioso di soddisfare tale bisogno. La cui importanza si palesa, a maggior ragione, nelle circostanze in cui il corpo o la mente sono impegnati in compiti faticosi oppure quando ci annoiamo; situazioni queste in cui la mente sente il bisogno di elaborare pensieri automatici di compensazione, che hanno la caratteristica di stimolare il piacere a livello psicologico. Come, ad esempio, pensieri e fantasie inerenti al piacere sessuale o a situazioni molto gratificanti (viaggi, avventure, ecc.), o immagini di cibi e bevande particolarmente gustosi e prelibati: tutta un′attività mentale finalizzata a tenere impegnata la mente in qualcosa (possibilmente di piacevole). Una volta definita la vocazione, l′attitudine della mente, il passo successivo consiste nel verificare la possibilità o meno di orientarla attraverso una disciplina dei pensieri, dei ragionamenti, delle immagini o delle fantasie, in modo tale che possa avere una ricaduta favorevole sull′attività psicologica in generale, compreso il tono dell′umore e il benessere mentale. Disciplina autoindotta ovviamente; dal momento che, se fosse eterodiretta, equivarrebbe al condizionamento e alla soggezione, con prevedibili effetti di subordinazione e dipendenza.
97) La sopra citata possibilità (di una disciplina della mente) ha a che vedere con motivazioni, interessi, gusti personali; in ogni caso sembra pertinente la corrispondenza con il pregare nel senso religioso del termine o con il recitare il rosario: la disciplina della mente in analogia con il pregare, come una forma di preghiera laica, recitata tra sé e sé, non in forma di giaculatoria, ma in modalità di pensiero e di ragionamento! Con una differenza, essenziale! Le preghiere o i rosari dispongono di un testo codificato da una tradizione religiosa, che è rimasto più o meno inalterato nel corso dei secoli e che si tratta di ripetere, di riprodurre, in silenzio tra sé e sé o ad alta voce; in questo senso la mente religiosa è una mente già disciplinata intrinsecamente, disciplinata a priori, che si esprime e si attiva attraverso testi codificati. La disciplina della mente laicamente intesa, invece, non può ovviamente usufruire di formule codificate o standardizzate e nemmeno di una vocazione predeterminata; deve fare affidamento su procedure ideate/concepite di volta in volta e sulla determinazione personale a produrre pensieri, ragionamenti, fantasie, immagini, funzionali al benessere psicologico e all′equilibrio mentale ed emotivo. In che modo? A quale tipo di disciplina sottoporre l′attività mentale per raggiungere tale risultato? In realtà dare una disciplina ai pensieri o alle fantasie è una contraddizione in termini, non perché non si possa tentare di disciplinare la mente, ma perché è impossibile guidare e controllare la sua attività in toto, dall′inizio alla fine; c′è/ci sarà sempre, nello scorrere dei processi mentali, un resto irriducibile a ogni forma di controllo. Si può però imparare a mettere ordine al loro fluire; si può sperimentare una disciplina della mente, soprattutto eliminando o riducendo ansie e paure, attraverso il metodo del porre/porsi delle domande: interrogare paure e preoccupazioni, chiedere conto del loro valore e della loro importanza, misurarne/calcolarne il senso e il significato! E per il resto lasciar fluire, lasciar scorrere...pensieri, immagini, fantasie, ragionamenti, riflessioni, congetture...lasciar andare, questa la vera disciplina della mente, imparare a lasciar andare.
98) L′ostacolo maggiore che incontra il meritorio progetto di lasciar scorrere, lasciar andare sono per l′appunto quei pensieri automatici, cui si è accennato nel punto 95, radicati in profondità, proprio perché acquisiti involontariamente e riprodotti meccanicamente, senza aver avuto possibilità alcuna di passare al vaglio della riflessione e quindi di eventuale confutazione. Si tratta di pensieri, immagini o impulsi intrusivi, indesiderati, principalmente auto-orientati, emotivamente carichi, che interrompono il flusso di pensiero. Inoltre, sono eventi mentali che si originano dall′interno, anche indipendentemente da uno stimolo esterno, interferiscono nell′esecuzione di un compito, sono difficili da controllare. I pensieri automatici sono propri del funzionamento della mente normale, è la loro esagerazione a comportare esiti patologici. Devono essere comunque distinti dall′overthinking, il ′pensare troppo′, consistente in una costante e maniacale attenzione per alcuni determinati pensieri, tanto da renderli intensi e ripetitivi. Chi soffre di overthinking potrebbe passare ore a chiedersi se ha fatto la scelta giusta, oppure potrebbe essere costantemente preoccupato per avvenimenti riguardanti il proprio futuro. Questa attività mentale, quando diventa molto frequente, al punto da sfociare nella ruminazione ossessiva, presenta la caratteristica - comune ai pensieri automatici - di essere spesso intrusiva e di interferire con la vita quotidiana, creando una vera e propria spirale di pensieri e situazioni difficili da gestire.
99) In genere, tra le soluzioni proposte dalle diverse scuole di psicoterapia per alleviare gli effetti delle disfunzioni cognitive illustrate nel punto precedente, la più gettonata è la ′mindfulness′, una pratica specifica di meditazione, centrata sulla consapevolezza non giudicante dell′esperienza presente. L′obiettivo della pratica della mindfulness è quello di imparare a guardare ed accettare la realtà per com′è nel momento presente, osservando in maniera distaccata i pensieri negativi e considerandoli per ciò che sono, ossia come prodotti della mente, i quali - attraverso la giusta pratica - possono essere compresi e controllati, evitando il loro influsso nefasto. La tecnica della mindfulness si svolge principalmente attraverso la concentrazione sulla respirazione e sui movimenti effettuati dall′addome durante le inspirazioni e le espirazioni. In questo modo, la persona riuscirebbe a distrarsi dai propri pensieri disfunzionali attraverso la concentrazione sul proprio respiro, la quale, con la pratica, dovrebbe poi venire estesa alla consapevolezza di sé, dei propri pensieri, delle proprie emozioni e della realtà circostante. Per concentrarsi efficacemente sul proprio respiro, è indispensabile un atteggiamento psicologico rilassato, uno stato di equilibrio mentale, che costituiscono però lo scopo della mindfulness! Sembra così di essere in presenza di una antinomia: stati mentali di ansia, come anche pensieri automatici o l′overthinking, in ogni caso disfunzioni cognitive e alterazioni emotive potrebbero trovare una probabile soluzione attraverso la mindfulness! Ma come raggiungere l′equilibrio e la distensione mentale necessari alla concentrazione sul proprio respiro, se è proprio attraverso la mindfulness che si dovrebbe ottenere tale risultato?